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Camminiamo nella speranza lavorando insieme

  • Omelia alla prima concelebrazione con il presbiterio veneziano
  • S.E. mons. Marco Cè, patriarca di Venezia
  • Venezia
  • Basilica di San Marco
  • 11-01-1979
  • 1979

Carissimi confratelli,

                      voi mi perdonerete se oggi, derogando alla veneranda tradizione liturgica, non commenterò il testo delle letture che ci vengono proposte. Però – se il Signore me ne dà grazia – tutta la conversazione che io voglio intrattenere con voi, e lo spirito che la anima, vogliono interpretare il mistero eucaristico del cap. XVII di Giovanni, e l’intenzione di Paolo nel rivolgersi ai fedeli di Filippi che noi abbiamo proclamato (Fil 2,1-11).

Credo inoltre che appartenga all’Eucaristia come il Signore l’ha voluto anche il salutarci, l’aprirci il cuore nell’affetto fraterno, l’accoglierci gli uni gli altri.

E così vi saluto tutti nel Signore, fratelli carissimi del nostro presbiterio e voi sacerdoti del clero regolare, che condividete con noi il carico pastorale di questo santa Chiesa.

E come vi saluto, così ringrazio il Signore per questo incontro, che è puro dono gratuito della sua bontà a questo suo piccolo servitore; ed è anche dono[1] della vostra bontà, fratelli carissimi, la quale, a sua volta, è opera dello Spirito di Gesù Cristo in voi.

Come potrò io dirvi, in questo momento, e con quali parole – le più umili, le più semplici: ho così paura della ridondanza, della declamazione, dell’autocompiacimento, che sarebbero cose sacrileghe in un momento che dovrebbe essere tutto e solo aperto al dono di Dio, alla benedizione e all’ascolto – come potrò io dirvi la mia gioia di incontrare voi, il mio saluto affettuoso e fraterno, la mia consapevolezza che, nel nostro incontro sono in questione i valori più grandi e delicati della nostra coscienza personale?

Come potrei dirvi la mia coscienza della singolarità – carica di grazia, ma anche di valenze umane – del rapporto che lega il vescovo al presbiterio e ai diaconi; per cui non può essere giocato sul registro della faciloneria o anche solo delle emozioni superficiali: troppe cose e troppo grandi noi mettiamo in questione nel nostro legame sacramentale?

Per cui io chiedo al Signore, in questo momento, la grazia di una parola «sua»; pura, umile, mansueta e buona, povera, trapassata dalla sua luce, aperta alla speranza, generatrice di gioia interiore e di pace; in una parola: «a Spiritu Sancto».

 

1. E lasciate che per prima cosa vi ringrazi per la splendida accoglienza che mi avete riservato. Totalmente gratuita, perché io non avevo nessun titolo che la giustificasse, se non quello che mi viene dall’essere il mandato dal Signore. Mi avete accolto bene, con grande amore. lo vi ringrazio.

Ringrazio chi ha portato il peso dell’organizzazione. Nomino uno per tutti: mons. Bosa.

Ringrazio i moltissimi sacerdoti che hanno voluto condividere con me la prima Eucaristia, senza far torto a quelli che avrebbero voluto esserci, ma erano trattenuti in sede dagli impegni domenicali.

Ringrazio anche il giovanissimo confratello – il «Giovanni» della nostra compagnia [2] – per le affettuose espressioni che mi ha rivolto a nome vostro.

Che cosa vorrei dirvi, aprendovi il cuore in questo momento? Questo: tutto quello che di bene c’è a Venezia è vostro. lo ne sono contento, anche se sono consapevole di poter correre il rischio di non valutare sufficientemente quanto ciò vi sia costato.

 

2. Io quindi oggi mi presento a voi con le mani vuote. Mi accreditano la «missio» e la mia buona volontà. Accoglietemi nel nome del Signore.

Aiutatemi a non aver paura della mia piccolezza, dei miei limiti, della possibilità di sbagliare,

Aiutatemi o non aver paura di voi.

Da parte mia vi assicuro che sono libero da ogni pregiudizio.

Come vorrei che mi accoglieste nella parte migliore di me stesso nel mio buon proposito di essere fedele al Signore nonostante i miei limiti e gli sbagli della mia vita passata, così sappiate che io vi accolgo nel mio cuore incondizionatamente, perché mi siete fratelli e nelle migliori vostre intenzioni di fedeltà al Signore.

 

3. Come mi presento a voi?

Vorrei darvi tre referenze:

 

a) La prima la traggo dal Salmo 39:

«Sacrificio e offerte non gradisci (son tue infatti tutte le bestie della foresta… tuo è il mondo e quanto contiene… Sal 49,10a.12b), gli orecchi mi hai aperto.

Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: “Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto, che lo faccia il tuo volere.

Mio Dio, questo lo desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore» (Sal 39,7-9).

In fondo io so di non avere molte cose da dare al Signore; io ho me stesso. Prendendomi in mano, io vorrei dire al Signore: Ecco, io vengo per fare la tua volontà.

Che ambizione ho? Non di fare molte cose – certo dobbiamo fare tutto – ma di essere – ed aiutare i fratelli ad essere – una chiesa fedele al suo Signore.

Questo non è alternativo al «fare», ma è una «qualità» della vita: questo dice impegno vigoroso, dice soprattutto docilità allo Spirito.

Ancora due cose vorrei:

  • essere in mezzo a voi uno «che fa ricordare il nome del Signore»;
  • essere in mezzo a voi uno che richiama continuamente la qualità evangelica della vita. La volontà del Padre infatti è questa: che noi seguiamo Cristo, vivendo secondo il Vangelo.

Ed ecco allora la centralità della «sequela Christi» nella nostra vita.

Cari confratelli: io vorrei essere in mezzo a voi, prima di tutto, «discepolo del Signore», che lo segue dovunque Lui vada da Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme.

E tutti insieme, nella nostra Chiesa, dobbiamo essere, prima di tutto, discepoli del Signore, perché tutta la nostra Chiesa lo sia.

Questa è la volontà del Padre. Questo è il nostro: «Adsumus», davanti a Dio.

 

b) La seconda referenza la traggo dalla prima lettera ai cristiani di Corinto:

«Annunziare il Vangelo non è per me motivo di vanto, è piuttosto una necessità che mi si impone: guai a me se non predicassi Il Vangelo» (1Cor 9,16). Mi presento quindi a voi come l’uomo del Vangelo. Certo, l’Evangelo è di tutti, non solo del vescovo, Ma una Chiesa non può evangelizzare, se il vescovo tace.

Nell’Ordinazione episcopale, mentre il Vescovo presidente mi imponeva le mani invocando l’effusione della pienezza dello Spirito di capo e guida della Chiesa, nel nome e in voce di Cristo, due diaconi mi caricavano aperto sulle spalle il Vangelo. Domenica, venendo da voi, ho voluto essere preceduto dal Vangelo: quella è la Parola che salva, io sono solo la voce che la proclama. Ma quando la voce proclama la Parola, Gesù Salvatore è presente.

Io sono convinto che proclamando il Vangelo si scatena lo Spirito e si rinnova la faccia della terra; si mobilita una Chiesa: si liberano doni e misteri; le persone che l’accolgono diventano «responsabili», cioè creatrici di storia. Niente è capace di attivare l’uomo come il Vangelo.

 

c) La terza referenza la traggo dal Salmo 105, e del profeta Ezechiele:

«E aveva già deciso di sterminarli, se Mosè, suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per stornare la sua collera dallo sterminio» (Sal 105,23);

«Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato» (Ez 22,30).

Mi presento così in mezzo a voi come l’uomo della intercessione, lo sono venuto in mezzo a voi per pregare, per alzare le mani supplici, «per rendere propizio il volto di Dio» (preghiera ordinazione episcopale) per questa santa Chiesa e per tutti gli uomini, Chi lo farà, se non lo faremo noi?

Chi alzerà il muro dell’intercessione fra Dio e il suo popolo? Chi terrà il posto di Mosè che intercede perché Dio non distrugga Israele?

Il vescovo è per pregare e perché la Chiesa preghi. Senza predicazione e senza preghiera la Chiesa non vive, anche se vive non solo di preghiera e di predicazione: e per questo Dio, oltre agli Apostoli che pregano e predicano, ha voluto anche altri ministeri nella Chiesa.

Io sono venuto in mezzo a voi per suscitare l’apostolato, ma non solo l’apostolato, bensì anche la preghiera, quella che dice «Abba» e nasce dalla fede di essere amati da Dio: «filii in Filio».

 

4. Ed ora che mi sono presentato con l’immagine di me stesso che porto in cuore, vorrei dirvi altre tre cose:

a) Camminiamo nella speranza, non nella sfiducia o nell’amarezza, Abbiamo un dono oggettivo, il carisma, al quale dobbiamo credere. «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (1Tm 1,4).

Oggi la fede nel nostro carisma sacerdotale subisce la sfida di un mondo in tempesta e spesso noi siamo tentati di paura, di pessimismo, di disfattismo; spesso ci prende lo scoraggiamento.

Vorrei dirvi:

  • Noi siamo quel popolo col quale il Signore cammina;
  • Uomini di poca fede, perché dubitate e non sapete leggere i segreti della mia presenza in mezzo a voi?
  • Il fondamento della nostra speranza non sono le cose che vanno più o meno bene, ma la fede nel «carisma», che ci fa strumento della potenza, dell’amore e della sapienza di Dio.

 

b) Lavoriamo insieme:

  • lavorando: ciascuno mobilitando tutta la propria responsabilità;
  • insieme: c’è una grazia di particolare efficacia nel lavorare insieme. A questa il Signore ha legato un dono di efficacia particolare. Insieme nella carità presbiterale, alla quale ci abilita, non solo il Battesimo e l’Eucaristia, ma anche l’Ordine che ci unisce singolarmente. Se il Signore, nella sua infinita misericordia, mi farà grazia, io sarò con voi;
  • per aiutarvi a lavorare insieme: io con voi, tutti fra noi insieme;
  • per aiutarci l’un l’altro ad amarci, a sostenerci, a confortarci, a riscaldarci il cuore quando ne abbiamo bisogno.

 

c) Godiamo di veder crescere intorno a noi una Chiesa responsabile, cioè adulta, cioè spirituale.

  • Immagine di uomini della preghiera e del ministero della Parola, padri nella fede dei laici perché crescano in docilità allo Spirito e assumano la loro parte di responsabilità e di carico nella Chiesa, restituirà al nostro presbiterato la sua identità più vera.
  • Presbiteri che siano sempre più «padri nella fede»; laici più presenti, più operanti, più spiritualmente responsabili dell’Evangelizzazione: è il nome di una Chiesa che voglia essere lieto annunzio di salvezza in un mondo secolarizzato.

 

5. Mi avvio a concludere.

a) Qualcuno mi dirà: ci dia direttive precise. Cari confratelli, io devo essere prima di tutto il testimone di una immagine di Chiesa che il Concilio ci ha offerto e che ci supera tutti, piegandoci all’obbedienza. Ho cercato di esprimerla nell’omelia di domenica e ve l’affido.

Abbiamo quindi il Concilio, che va attuato, va svolto, va esplicitato. Abbiamo le direttive di tutto l’Episcopato italiano che, nella docilità allo Spirito, ha tracciato un quadro pastorale preciso per la Chiesa italiana, i cui tratti sono riconducibili a questi tre:

  1. L’evangelizzazione, urgenza pastorale prioritaria in una Italia ormai sottoposta a un processo di radicale secolarizzazione.
  2. La ricostituzione dell’unità tra la fede e la vita come dovere di ogni battezzato e di ogni comunità. L’ambiente non è più cristiano; l’uomo, la vita, la cultura, disancorati dal Vangelo, sono consegnati alla disintegrazione. Occorre che il Vangelo, attraverso la Comunità cristiana, animi il mondo, questo nostro mondo. Il quale, nonostante tutto è amato da un Dio che lo vuole salvare.
  3. Questo, oggi, può farsi solo se la Comunità cristiana riuscirà ad attivare la valenza pastorale del Battesimo. Oggi senza la testimonianza dei laici nella realtà secolare non si evangelizza e il mondo si disintegra.

Abbiamo infine la vita e la prassi della nostra Chiesa. Se noi saremo docili allo Spirito che parla attraverso la Chiesa e parla anche attraverso gli eventi del mondo, noi «insieme» individueremo puntualmente le cose da fare.

 

b) Ancora: Sono felice di rinnovare con voi gli impegni del nostro sacerdozio. Mi pare tanto bella l’idea di farlo insieme: Il Vescovo con i suoi sacerdoti, i sacerdoti con il loro vescovo. Perché poi ci dovremo dare una mano l’un l’altro per camminare nella fedeltà. Aiutandoci, sostenendoci, riscaldandoci il cuore.

So anche che volete rinnovare, davanti a me, il vostro impegno di obbedienza: sia nel segno dell’abbraccio fraterno, paterno e filiale.

Cos’è la nostra obbedienza? Il vescovo che, con dolcezza e con forza, sostiene e guida nella fedeltà a Dio e al Vangelo. E voi che lo sostenete in questo servizio di amore: Pietro, mi ami? Se mi ami, pasci!

 

Vergine Santa,

Madre dolcissima di Gesù e Madre nostra, tu che hai portato in braccio tuo figlio, lo hai sentito piccolo e debole e lo hai sostenuto e aiutato;

tu che, quando Gesù tornava a casa stanco e triste, lo hai confortato;

tu che sei stata presente accanto a Lui sotto la croce, da Lui hai ricevuto Giovanni come tuo figlio. Ecco: Giovanni, noi, i tuoi figli, tuo figlio oggi ci affidiamo a te, perché ci sii madre.

E in ogni momento del nostro cammino tu mostraci tuo Figlio, Gesù benedetto, che con il Padre e lo Spirito Santo, vive e regna, Signore di tutte le cose, nei secoli dei secoli. Amen.

  • note:

    [1] RDPV: con evidente refuso scrive «dopo».

    [2] Si tratta di don Gianni Bernardi, ultimo presbitero ordinato dal patriarca Luciani [ndc].

  • allegati:
    • Scarica il PDF, RDPV (1979) 1,119-123
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