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  3. 6 Visita pastorale
  4. Prima visita pastorale

Il granello di senapa

  • S.E. card. Marco Cè, patriarca di Venezia
  • Venezia
  • 25-03-1990
  • 1990
  • Lettera pastorale del Patriarca al presbiterio, ai diaconi, ai religiosi e religiose che operano nella pastorale, ai Consigli pastorali (diocesano, vicariali e parrocchiali), ai catechisti, agli animatori, agli operatori della carità, ai «volontari» della santa Chiesa di Venezia: uno strumento di riflessione e verifica, meditando sulla grazia della prima Visita pastorale e preparando la seconda.

Sommario

Presentazione

 

Parte prima - Uno sguardo meditativo sulla prima visita

     I. Nel segno del seminatore e del buon pastore

     II. Quali situazioni la visita ha evidenziato

          a) Secolarizzazione e secolarismo

          b) Cambiamento socio-culturale

          c) Un forte pluralismo

     III. Istanze pastorali emerse

          a) Urgenza di una nuova evangelizzazione

          b) Nuovi compiti per i battezzati laici

          c) Formazione: nostro compito primario

 

Parte seconda - Guardando al futuro: in quali solchi seminare

     I. Un terreno da coltivare: la fascia adulta della comunità

          a) La pastorale degli anni settanta e ottanta

          b) Necessità di un riequilibrio dell’impegno pastorale

          c) Centralità dell’Iniziazione Cristiana

     II. Tre cammini convergenti

          1. La catechesi degli adulti

               a) Catechesi parrocchiale per tutti

               b) Catechesi nelle case

               c) L’Iniziazione Cristiana dei figli

                    1 - Principi di riferimento

                    2 - Attenzioni per la prassi pastorale

                    3 - Casi difficili

               d) Stile evangelico: considerazioni conclusive

          2. La pastorale del matrimonio e della famiglia

               a) La situazione odierna

               b) Riannunziare il «vangelo» del matrimonio e della famiglia

               c) Scelte pastorali della Chiesa veneziana

                    1 – Annunziare la novità del matrimonio e della famiglia

                    2 – Gruppo sposi in ogni parrocchia

                    3 – Scuola diocesana di formazione per animatori

                    4 – Situazioni familiari difficili

                    5 – Violenza fatta alla vita

                    6 – Valorizzare la ministerialità coniugale

                    7 – Attenzione agli aspetti antropologici

          3. La pastorale giovanile

               a) Riflessioni preliminari

               b) Il cammino di fede dei giovani in questi anni

               c) La proposta d’un progetto educativo

               d) Tre attenzioni da tenere presenti

                    1 – Educazione dell’affettività

                    2 – La catechesi momento fondante

                    3 – Educare alla pari dignità «uomo-donna»

               e) Educazione alla fede, alla preghiera, alla risposta vocazionale

                    1 – Fondamentale è l’educazione alla fede

                    2 – L’esperienza degli esercizi spirituali

                    3 – Saper accogliere la chiamata del Signore

               f) Compito dell’Ufficio Diocesano

               g) Importanza di un cammino diocesano e vicariale

               h) La formazione degli animatori

               i) La presenza del presbitero tra i giovani

 

Parte terza - Una Chiesa segno di speranza: «Sui suoi rami si poseranno gli uccelli del cielo»

     1. Urgente chiamata alla santità

          a) Ascolto della parola di Dio

          b) Docilità allo Spirito

          c) Comunione ecclesiale

     2. Una comunità formativa, perché vuole essere missionaria

          a) I battezzati laici: ricchezza missionaria della Chiesa

          b) La parrocchia luogo formativo

          c) Pastorale d’ambiente, associazioni e movimenti

          d) Appello ai battezzati laici

     3. Annunziare oggi il vangelo della carità

          a) Impegno diocesano e parrocchiale

          b) Impegno familiare

          c) Impegno socio-politico

 

Conclusione

 

 

Presentazione

«Padre, ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo.
Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola…» (Gv 17,6).

 

1. La presente lettera intende aiutarci a fare il punto di una storia più che decennale della nostra Chiesa, in un mondo e in una Europa che cambiano. Un filo continuo di interventi del Vescovo segna la traiettoria del discernimento spirituale che la guida: dalla lettera Chiesa di Venezia, comunità dei discepoli del Signore (quaresima 1981), all’indizione della prima Visita Vieni, Signore Gesù (ottobre 1981), alla lettera conclusiva della Visita scritta alle parrocchie e al Vicariati, a Gli snodi della pastorale a Venezia, oggi (settembre 1985), alla Nota pastorale (settembre 1986), alla Lettera ai nuovi parroci… (Epifania 1989) ecc.

Il magistero del Papa, nella sua visita a Venezia (16-17 giugno 1985), sottolineando la qualità «mondiale» della nostra città, ha sollecitato soprattutto una più decisa tensione missionaria.

Si è delineato così con sufficiente chiarezza il cammino di una comunità alla sequela di Gesù.

 

2. La presente lettera si articola in tre parti:

– la prima, comandata dall’immagine evangelica del seminatore e del pastore, svolge una riflessione sulla Visita pastorale ormai conclusa, reclamandone una lettura di fede. Essa delinea, per tratti molto sintetici, la fisionomia spirituale della nostra realtà ed enuclea le indicazioni pastorali date a tutti, pur con diverse sottolineature. Persegue l’intento di aiutarci a «camminare insieme», in vista anche d’una doverosa verifica sugli esiti della Visita e sulla situazione della nostra pastorale: «Vegliate, state attenti…».

– la seconda, comandata dall’immagine del buon terreno in cui seminare, apre l’esperienza maturata durante la Visita su un cammino pastorale che guardi al futuro. Prospetta come obiettivo comune quello di costruire una comunità adulta nella fede mediante tre percorsi convergenti: la catechesi degli adulti, la pastorale coniugale e familiare, la pastorale giovanile. Ha l’intento di indicare il cammino per gli anni che ci stanno dinanzi e di accompagnare la prossima Visita pastorale.

– la terza mira a cogliere l’anima della pastorale e dello sforzo di «storicizzarla» mediante un programma che la situi nello spazio e nel tempo. È guidata dall’immagine evangelica degli uccelli del cielo che cercano un ramo su cui posarsi e dallo sguardo di Gesù che, seduto sul pozzo di Sicar, vede i campi biondeggianti e gode nella speranza.

Parlerò d’una Chiesa che cresce solo quando si purifica e si rinnova nella santità, d’un laicato chiamato a comprendere e a vivere la grazia di essere «evangelo vivo» nel mondo, e d’una comunità «lievito» di carità dentro «la pasta» della storia: il lievito del Regno che viene. 

 

3. Ogni capitolo della lettera terminerà con alcuni «suggerimenti per la riflessione e per la verifica»: essi intendono aiutare un autentico atteggiamento di fede operosa nei confronti del nostro essere «la Chiesa del Signore», convocata intorno a un successore degli Apostoli.

In questo modo, crescendo nella fede e nella comprensione della nostra situazione, ci prepareremo alla seconda Visita pastorale. 

 

4. L’iter della lettera è stato lungo e, per diverse ragioni, ha subito molte correzioni di rotta.

Dopo la conclusione della prima Visita, la seconda parte dell’attuale testo è stata discussa dai Consigli pastorale e presbiterale. Col passare del tempo mi è parso sempre più chiaro che la lettera doveva prendere la forma d’uno strumento per la seconda Visita che inizierò, a Dio piacendo, alla fine del ’90, dopo il Sinodo dei Vescovi, o agli inizi del ’91. 

 

5. Amo pensare questa conversazione sulla stregua della convocazione a Mileto degli anziani della Chiesa di Efeso (At 20,17-36), da parte dell’apostolo Paolo, in un momento parti- colare del suo ministero: è, per me e per voi, una messa a punto del nostro cammino, un momento di dialogo e di confronto nella fede, per situare la pastorale della nostra comunità dentro il nostro tempo ed esprimere tutta la forza della missionarietà. Solo una comunità credente – che annunzia la Parola, la celebra nei divini misteri e la testimonia nella vita di ogni giorno – è missionaria e promuove l’umanità intorno a sé, lievitando e sollecitando la storia, infondendole grazia e il presentimento reale del Regno.

Sarei contento se questa lettera diventasse il «vademecum» del tratto di cammino che ci prepariamo a fare insieme nella prossima Visita pastorale.

PARTE PRIMA
Uno sguardo meditativo sulla prima visita 

Carissimi,

«a che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granello di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra, ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Mc 4,30-32).

I. Nel segno del seminatore e del buon pastore

6. Amo pensare la Visita Pastorale nell’ottica di fede del «seminatore che uscì a seminare» (Mc 4,3-9) e del granello di senapa che porta in sé la speranza del Regno. Amo anche coniugarla con la parabola del buon pastore (Gv 10,1-18).

Indetta nella Pentecoste del 1981, la Visita si è di fatto conclusa con «La festa dei giovani» del 7 maggio 1989, giorno della Ascensione gloriosa del Signore.

La sigla «Con Cristo verso tutti», che ha caratterizzato quella giornata, non vale solo per i giovani: è la grazia di una Chiesa missionaria che la Visita si era proposta di ravvivare. 

 

7. In questi anni Dio ha seminato nei solchi della nostra terra. Rimarrà soltanto ciò che Lui ha seminato, secondo la preghiera di tutti i giorni: «Venga il tuo Regno!». Ciò che ha sovraseminato la nostra presunzione è paglia, buona solo per essere bruciata (cf. 1Cor 3,10); ma ciò che il divino seminatore ha seminato con le nostre mani – mie e vostre – crescerà per il Regno (cf. Mc 4,28). Infatti non colui che pianta, né colui che irriga, ma è Dio che fa crescere (1Cor 3,7).

Crescerà la pianta di senapa e stenderà i suoi rami accoglienti per tutti i fratelli in cerca d’un senso della vita. Crescerà, se avremo fede. Il buon terreno, in cui il seme cresce, è la nostra fede operosa (Mt 13,23). Essa è la vittoria che vince il mondo (1Gv 5,4). 

 

8. Come segno del Buon Pastore ho visitato coloro che il Signore mi ha affidato: «Erano tuoi e li hai dati a me…” (cf. Gv 17,6; At 20,28). Ho ravvivato la fede, annunziando la Parola: «Il tempo è compiuto. Il Regno di Dio è già presente. Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,14). Ho portato un lieto annuncio di speranza: intenzionalmente a tutti, secondo il comando del Signore (Mc 16,15); di fatto a quanti mi è stato dato di incontrare. «Ho anche altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre» (Gv 10,16).

Ho rincuorato le comunità, ravvivando la fede nella presenza del Risorto e del suo Spirito, riattizzando e attivando i doni e le tante cose belle che Egli va operando, anche nelle situazioni più umili.

Ho esortato alla perseveranza, sforzandomi di capire, di comprendere, di correggere fraternamente, con mitezza e umiltà. Soprattutto mi sono preoccupato di dare fermezza alle ginocchia vacillanti e di rafforzare le braccia infiacchite, perché non desistessero dal proseguire con l’audacia della fede sulle strade che Dio va segnando per la nostra Chiesa.

Abbiamo celebrato insieme l’Eucaristia – come fece Gesù con í discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,30), come sempre facevano gli Apostoli nelle comunità (cf. At 20,7) – impegnandoci a spezzare anche il pane terreno coi fratelli più poveri, comunque bisognosi di solidarietà e di affetto. Spesso abbiamo celebrato insieme anche il sacramento della Riconciliazione, scambiandoci l’abbraccio del perdono.

In tutte le comunità ho visitato gli infermi e gli anziani, a testimonianza di colui che prese su di sé la nostra debolezza, condivise i nostri dolori (Is 53,4-5) e proclamò: «Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatta a me» (cf. Mt 25,40). 

 

9. Dopo la visita, per chi nella fede ha accolto il Vescovo come successore degli Apostoli e ne ha accettato il discernimento, la strada era indicata, i sacerdoti e gli «operatori del Vangelo» rianimati e confortati, la comunione fra noi rinsaldata e cresciuta.

Alcune linee fondamentali sono state volutamente proposte a tutti: si trattava per lo più di linee pastorali già in atto, anche se talora appena abbozzate; capaci però, una volta accolte, di creare un comune cammino di Chiesa. Ogni parrocchia è stata incoraggiata ad arricchire l’impegno comune con la singolarità dei suoi doni e della sua creatività. 

 

10. La Visita si è sempre conchiusa con una lettera del Patriarca alle singole parrocchie e, quasi sempre, ai vicariati.Le «consegne» sono state generalmente focalizzate:

- sulla catechesi e la formazione dei catechisti;

- sulla riapertura forte di un discorso di catechesi degli adulti;

- sulla pastorale matrimoniale e familiare;

- sulla pastorale giovanile.

Era, da parte mia, lo sforzo di far emergere in ogni parrocchia la coscienza delle urgenze della pastorale oggi: esse sono, in genere, percepite come ovvia e normale prassi pastorale; più raramente sono colte come richiesta d’un forte e sapiente rinnovamento per rispondere all’attuale contesto culturale.

Era anche lo sforzo di raccogliere le diverse realtà pastorali in un unico cammino ecclesiale nella storia di oggi: uno degli obiettivi fondamentali della Visita Pastorale è risultato, via via con forza maggiore, quello di ricomporre le diverse articolazioni della Diocesi nell’unica nostra Chiesa, favorendo i dinamismi spirituali che la identificano e danno senso al «camminare insieme». 

 

11. Spero anche sia rimasta nel cuore di tutti, appassionata e piena di speranza, la consapevolezza dei «posti vuoti» che ha sempre accompagnato il nostro «incontrarci» alla mensa del Padre.

Questo fatto nel corso della Visita è emerso nella sua realtà e nella sua ampiezza. È emerso pure che, in genere, esso non è avvertito come il problema più grave, che mette in questione prima di tutto la qualità del nostro essere cristiani e poi la nostra impostazione pastorale.

L’attenzione ai posti vuoti dovrebbe qualificare tutto il discorso pastorale. Di fatto non è così. L’alta percentuale di coloro che non vengono è considerata un fatto deprecabile a cui, talora, soffertamente ci si rassegna, non una «chiamata» a un amore più urgente (cf. 2Cor 5,14) e più missionario (cf. Lc 14,23).

Potrebbe essere appunto questa maturazione di sensibilità uno dei frutti della Visita Pastorale. 

 

12. Tutto questo in vista del futuro a cui il Signore ci chiama.

L’invocazione «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20) ha aperto, orientato e spinto in avanti, sollecitando il passo incerto di molti: perché ormai «il tempo è breve» (1Cor 7,29), e viene il giorno del Signore. Bisogna «vigilare» (Mt 24,42) e avvertire i segni della sua presenza.

Dopo la Visita l’anelito «Vieni, Signore Gesù!» dovrebbe gridare più forte nel cuore. L’attenzione crescente alla Parola di Dio, alla catechesi e alla liturgia; l’impegno d’una carità più sapiente e attiva, la scoperta gioiosa della grazia del matrimonio e della famiglia e l’impegno per l’educazione dei giovani; la «passione» per i «lontani»; la consapevolezza del ruolo del battezzato nei confronti della nuova evangelizzazione; infine la chiamata di tutti, indistintamente, alla santità, ciascuno nella fedeltà alla propria vocazione concreta… cosa sono se non lo sforzo di rispondere all’anelito che lo Spirito sostiene nei nostri cuori: «Vieni, Signore Gesù!» perché il tempo è compiuto e il Regno di Dio, in Gesù, ormai è presente in mezzo a noi?

II. Quali situazioni la Visita ha evidenziato

13. La Visita è stata anche un momento di rilevazione e presa di coscienza della realtà della nostra Chiesa da parte mia e di tutta la comunità. Nelle mie lettere conclusive vi ho partecipato le riflessioni che andavo facendo: erano considerazioni maturate quasi sempre con voi.

Voi sapete che mi sono sempre proposto di vedere, dietro le analisi, le persone, figli di Dio e fratelli. Ho cercato gli uomini, le donne, i bambini e gli anziani, i giovani e le loro condizioni, per fare miei i sentimenti di Gesù nei loro confronti.

Le situazioni incontrate erano molto diverse, anche se attraversate da costanti comuni. Lo «status» religioso della Diocesi, il modo di porsi delle persone e delle realtà umane di fronte alla fede, andrebbero però analizzate con più finezza e senza frettolose generalizzazioni: proprio perché si tratta di persone e dei loro problemi decisivi sul senso della vita e la fede nel Signore Gesù.

Il termine «secolarismo», che spesso io stesso ho usato per qualificare le generalità della nostra situazione, non fa giustizia piena né della realtà, che è più complessa ed articolata, né delle persone. È necessaria una rilevazione più puntuale, una riflessione più partecipata, un accostamento più meditato e discreto.

Senza con questo dire che i termini «secolarizzazione» e «secolarismo» non siano pertinenti per descrivere la nostra realtà. Sulla soglia del mistero dell’uomo e della storia voglio però invocare rispetto e discrezione. 

 

14. Esorto voi ad approfondire le analisi da me solo problematicamente abbozzate, valorizzando le specifiche competenze presenti nelle comunità, facendo così un servizio alla nostra Chiesa. Il lavoro pastorale trarrebbe vantaggio da una conoscenza della situazione più precisa, realizzata usando anche gli strumenti delle scienze sociali. Ricordandoci che, dopo le analisi, bisognerà elevare la mente a Gesù ed imparare da Lui come guardare la gente (cf. Mt 9,36; Mc 6,34). 

 

15. Con l’atteggiamento che ho appena delineato e senza addentrarmi in analisi che esorbitano dalle mie competenze, mi pare legittimo caratterizzare globalmente la nostra situazione ecclesiale usando le seguenti categorie descrittive:

a) Secolarizzazione e secolarismo

quella d’una secolarizzazione, spesso stabilizzatasi sul profilo più basso del secolarismo, anche molto radicale. Ne sono evidenti sintomi non solo, per molti, l’irrilevanza delle convinzioni di fede nei confronti delle istituzioni e della vita pubblica, ma, soprattutto, la non incidenza della fede sulla vita privata, il rallentamento della pratica religiosa qualificata – com’è, per es., la partecipazione all’Eucaristia nel giorno del Signore – e il crescente «svuotamento» di alcune scelte sacramentali (come sposarsi in Chiesa e la richiesta dei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana per i figli), sempre più tributarie del consenso sociale che d’un autentico senso di fede ecc. ecc.

b) Cambiamento socio-culturale

16. Quella del cambiamento socio-culturale. La complessa e articolata realtà del nostro territorio in questi ultimi decenni si è andata profondamente e rapidamente trasformando, passando da agricola a turistica e industriale e poi subito post-industriale. Mestre da borgata è diventata una delle città più significative del Veneto e lungo il litorale è esplosa l’edilizia turistica, dando vita a grandi città estive.

L’apertura, ormai prossima, delle frontiere fra i paesi dell’Europa occidentale e gli improvvisi sconvolgimenti dell’Europa orientale, avranno inevitabilmente incidenze sull’economia e la cultura del nostro territorio.

Tutto questo richiede responsabilità pastorale, vigilanza e lucidità per cogliere prontamente il nuovo e non lasciarsi travolgere dalle situazioni.

c) Un forte pluralismo

17. Quella del pluralismo culturale per cui mentalità e prassi diversissime si trovano a convivere nello stesso territorio: fenomeno dovuto anche alle masse di turisti provenienti da tutte le parti del mondo, che ormai ininterrottamente pervadono il nostro territorio, spesso largamente soverchiando gli abitanti locali. Tali afflussi di genti sono destinati a crescere, anche per la centralità del nostro territorio nei movimenti europei di cultura, di ricchezza e di popolazione.

III. Istanze pastorali emerse

18. Quali istanze ha fatto emergere la Visita Pastorale, secondo quel discernimento che lo Spirito è andato maturando in noi mentre insieme camminavamo di comunità in comunità, verificando le situazioni (la qualità delle assemblee eucaristiche, la preparazione dei catechisti, la pastorale degli adulti, del matrimonio e della famiglia, dei giovani ecc.), pregando e confrontandoci?

a) Urgenza di una nuova evangelizzazione

Non c’è dubbio che l’urgenza prioritaria rimane l’evangelizzazione: essa oggi va anzi riproposta con impegno maggiore rispetto ai due decenni precedenti e con rinnovato metodo missionario. Il Papa, con vigore profetico, scuote il nostro torpore e parla continuamente della indeclinabile necessità d’una nuova evangelizzazione. «Nuova» perché il mondo di oggi e il contesto culturale del nostro territorio non sono più quelli di qualche decennio fa. Tutto s’è andato cambiando con vertiginosa rapidità. La mentalità e il costume delle nostre comunità cristiane sono stati sconvolti da un comune sentire diverso. Nello stesso tempo il crollo di sistemi che sembravano solidissimi, e il fallimento delle ideologie dimostratesi radicalmente inadeguate a dare risposte soddisfacenti ai grandi interrogativi dell’animo umano, i bagni di sangue di cui siamo stati testimoni oculari mediante gli attuali mezzi di comunicazione, le violenze e le ingiustizie che si perpetrano accanto al nostro benessere di popoli ricchi, infine il disastro ecologico che minaccia il futuro dell’umanità e un progresso tecnologico e scientifico sganciato da ogni norma morale, fanno ormai sentire l’esigenza di una «parola nuova» per la salvezza dell’uomo.

L’annunzio della Buona Novella è oggi immensamente più pressante di quando abbiamo incominciato a proporlo, all’inizio degli anni settanta. 

 

19. Quando l’Episcopato italiano richiamò con forza le nostre comunità a prendere coscienza che un contesto culturale profondamente segnato dal cristianesimo si era ormai dissolto e che urgeva rimotivare la fede degli stessi «praticanti», sottolineando la priorità della evangelizzazione, noi assistemmo in tutta la nostra Chiesa a un vigoroso rinnovamento della catechesi per l’Iniziazione Cristiana, ad un impulso, mai conosciuto prima, per la formazione dei catechisti, grazie soprattutto al «Documento Base» e ai nuovi Catechismi.

Si riprese contestualmente anche un discorso organico di pastorale coniugale e familiare (1976), superando i cosiddetti «gruppi di spiritualità familiare», e iscrivendo audacemente la «ministerialità coniugale» nella pastorale ordinaria.

Si era ben lontani però dal pensare che la nostra situazione potesse essere qualificata come «missionaria», tanto era radicata la coscienza di essere noi un popolo cristiano.

I cambiamenti in questi due decenni e l’accelerazione degli avvenimenti che hanno ridi- segnato la faccia dell’Europa ci rendono consapevoli – senza rinnegare nulla del Battesimo della nostra terra – di vivere ormai in una situazione assolutamente bisognosa d’una «nuova evangelizzazione», perché «nuovo» è il mondo in cui viviamo: un impegno che faccia riemergere «le radici» della prima evangelizzazione e la ravvivi, confrontando la fede con le situazioni di oggi, perché possa portare frutti anche nel mondo odierno. Siamo perciò chiamati a realizzare quel confronto della fede con gli attuali modi di pensare e di vivere – che talora chiamiamo «nuova inculturazione» – e a compiere quel «discernimento», a cui altre volte nella storia la comunità cristiana ha dovuto far fronte, quando è passata da una cultura ad un’altra.

Ciò suppone da parte nostra lo sforzo di comprendere il nostro tempo, la volontà di evangelizzarlo e la docilità allo Spirito che, nella comunione ecclesiale, guida noi, come ha sempre guidato i nostri padri, a leggere i «segni» della sua presenza e a trarre dal «tesoro» della Parola di Dio «nova et vetera». Solo così al mondo sarà annunziato Gesù di Nazareth, unico Redentore e Salvatore, perché accogliendolo nella fede, il mondo sia salvo. 

 

20. Per la nostra comunità veneziana la «missionarietà» come qualità e modo di essere «chiesa» oggi, assume una urgenza singolare.

Il nostro territorio infatti è e rimarrà uno dei centri di attrazione e di convocazione di persone – e spesso di «intelligenze» – più significativi del mondo. Nel processo di unificazione dell’Europa e di fronte ai nuovi assetti dell’Est, la nostra Chiesa si trova ad essere in una posizione geografica e culturale attraverso la quale passeranno le strade della futura comunicazione.

Non possiamo non cogliere un «segno» di questa portata: non saremmo fedeli al Signore. La primitiva comunità, col suo intuito di fede, ha capito che anche la dispersione provocata dalla persecuzione poteva diventare occasione di diffusione del Vangelo sulle strade dei non credenti (cf. At 8,1.4.5-8.26-40).

Nel nostro territorio e nella nostra Chiesa passano ogni anno, milioni e milioni di persone, credenti e non credenti; nei mosaici di S. Marco e nei nostri luoghi di culto, essi incontrano la Bibbia e i «mirabilia Dei» per la salvezza dell’uomo, espressi col linguaggio universale dell’arte; Giovanni Paolo II, il 16 giugno 1985, in Piazza S. Marco, ci indicava in questa nostra singolare situazione una occasione unica di annunzio missionario del Vangelo: noi non possiamo non avvertire questa «vocazione».

La finale dell’evangelo di Marco (16,14-20), che proclamiamo ogni anno nella festa del nostro patrono, è, oggi più che mai, la nostra «grazia».

La Visita Pastorale ha messo in evidenza che questa occasione di annunzio del Vangelo a tutti gli uomini dalla nostra Chiesa normalmente non è avvertita, o non lo è con la forza in- novativa e creatrice con cui dovrebbe essere assunta. Questo fatto deve interpellarci in vista del nostro futuro.

b) Nuovi compiti per i battezzati laici

21 La situazione, quale l’abbiamo descritta, suona come una chiamata «pentecostale» alla missione: di tutti, ma, in particolare, dei battezzati laici.

«Andate anche voi nella mia vigna» (Mt 20,7) è la parola chiave della «Christifideles laici»: un segno dello Spirito per il nostro tempo. Ed è la riscoperta, sotto lo stimolo della storia, del potenziale pastorale del Battesimo. Di questa riscoperta la nostra Chiesa ha urgentissimo bisogno. Sempre, nelle stagioni missionarie della Chiesa, la responsabilità dei battezzati laici nel confronti dell’evangelizzazione è diventata primaria, grazie appunto alla loro presenza nelle realtà da evangelizzare. Nel cuore di ogni battezzato, abitato dallo Spirito Santo, e sulle sue labbra, l’evangelizzazione diventa vitale e diventa «oggi». La sua stessa vita quotidiana, sempre penetrata dallo Spirito Santo, diventa «grembo» di quella nuova inculturazione del Vangelo (una nuova sintesi vitale) di cui abbiamo parlato.

L’impegno missionario della nostra Chiesa deve quindi essere realizzato prioritaria- mente dai cristiani laici nelle loro situazioni di vita. Le strade della vita quotidiana (famiglia, lavoro, tempo libero, ambiente culturale, sociale, politico, ecc.) possono diventare nuove strade della evangelizzazione: su di esse, i battezzati laici sono per grazia «sacramento» della presenza di Cristo; da loro, nutriti dall’Eucaristia e dalla Parola, si sprigionano le energie della Risurrezione, che fanno emergere – liberando, purificando e valorizzando – tutto il bene che c’è nel cuore dell’uomo e nella storia (i «semina Verbi» ed i «semina Regni»); con la loro vita, Informata dall’amore (cf. At 2,42-48; 4,32-35; 5,12-16), rendono testimonianza a quel mondo nuovo («la nuova creazione»: cf. Rm 8,19-22) di cui parlano l’Apostolo Paolo e la veglia pasquale e danno ragione della loro speranza (1Pt 3,15).

c) Formazione: nostro compito primario

22. Quanto abbiamo detto fa balzare in primo piano l’importanza, per la nostra Chiesa di oggi, dell’istanza formativa dei battezzati laici.

Durante la Visita Pastorale mi sono preoccupato di aiutare i laici a cogliere e a realizzare il progetto di Dio su di loro, per costruire una Chiesa di persone, capaci di rispondere a Dio, nel dono del Vangelo e di se stessi ai fratelli (responsabilità e missione).

L’ho detto tante volte ed è la cosa che mi sta più a cuore: l’attività pastorale è ciò che deve essere solo se forma «discepoli del Signore» (cf. Gal 4,29). Questo è anche il criterio della sua autenticità e sottolinea il primato della «vita in Cristo», cioè della santità, del «discepolato», inteso non tanto come imitazione esterna quanto come «configurazione» a Cristo, in forza dell’azione in noi dello Spirito Santo. La «vita in Cristo» precede e genera ogni azione missionaria e apostolica, come in Gesù la comunione col Padre era fonte della missione (cf. Gv 6,57),

Perciò, mentre ci proponiamo precisi obiettivi pastorali, per dare concretezza al nostro cammino, non dobbiamo mai dimenticare che il fine primario della pastorale è «formativo»: una Chiesa prepara il futuro nella misura in cui sa «educare», cioè «e-ducere», «tirar fuori» delle persone capaci di essere nella loro vita, individuale, familiare e sociale, memoria viva di Cristo e, così, testimoni del Risorto.

Se la formazione di laici adulti nella fede, cioè protagonisti cristiani della storia, è compito primario ed esaustivo della pastorale di sempre, lo deve essere ancor più ora, in un momento in cui l’impegno dell’evangelizzazione della nuova cultura e del nuovo slancio missionario è affidato soprattutto a loro: nella dispersione del lavoro, della professione, dei vari impegni di ciascuno, in un mondo radicalmente secolarizzato. 

 

23. La Visita Pastorale è stata a sua volta un itinerario evangelico di conoscenza, di presa di coscienza e di seminagione.

Il cammino del pastore che voleva conoscere le pecore ad una ad una, strada facendo, si è aperto su orizzonti sempre più missionari, con le loro urgenti richieste.

Alla fine della Visita, il motto che ha qualificato la Festa dei giovani ’89: «Con Cristo verso tutti», non l’ha chiusa, ma l’ha aperta sul futuro che ci sta davanti e rinvia ad ulteriori seminagioni.  

 

PER LA RIFLESSIONE E LA VERIFICA

24. 1. Una visione di fede, sorretta dalla Parola di Dio presentata a noi dal Concilio, ci fa vedere nel Vescovo il successore degli Apostoli, posto da Dio a guida della singola Chiesa particolare.

Tale visione di fede è decisiva per il Vescovo, per noi, per la qualità e l’efficacia salvifica dell’azione pastorale.

Domandiamoci: Come abbiamo vissuto la visita del Patriarca e, soprattutto, il «dopo visita»: conosciamo la lettera inviata alla parrocchia e, in genere, al Vicariato; l’abbiamo meditata personalmente e comunitariamente, come facevano i primi cristiani con le lettere degli Apostoli? Come l’abbiamo fatta conoscere al consiglio pastorale e all’intera comunità?

Il suo discernimento è diventato riferimento di fede per il nostro cammino pastorale?  

 

2. Quali sono i punti sui quali «l’apostolo» ha richiamato la nostra attenzione?

Cosa abbiamo fatto in questi anni per rispondere alle indicazioni che, nel nome del Signore, ci sono state date?  

 

3. In occasione della prima visita i vicariati e le parrocchie si sono sforzati di delineare con dati sufficientemente controllati la loro situazione.

Volendo ripartire con un impegno di «nuova evangelizzazione», sarebbero opportuni una verifica e un aggiornamento di quei dati: andamento demografico, mobilità della popolazione, situazione socio-economica ecc., la frequenza alla Messa domenicale (i ragazzi, i giovani, gli adulti), la richiesta dei sacramenti per i ragazzi, i non battezzati, lo «status» del matrimonio ecc., la frequenza dei ragazzi, dei giovani e degli adulti alla catechesi ecc.  

 

4. Sarebbe anche importante una lettura critica globale della situazione del territorio, sforzandoci di cogliere:

* alcuni aspetti positivi e i settori che si sono messi in movimento: la catechesi dei ragazzi ancora quasi totale, la crescita in qualità dei catechisti, della pastorale familiare e giovanile, lo sviluppo delle diverse iniziative di formazione: Corsi per catechisti e animatori, Scuole bibliche, teologiche, ecc., la crescita della presenza caritativa della nostra Chiesa nei diversi settori di povertà o, comunque, di bisogno, il volontariato ecc.

* alcuni aspetti che rimangono quantomeno problematici e bisognosi di un impulso più deciso:

- la presenza responsabile del laicato nella vita e missione della Chiesa: a che punto siamo? A 25 anni dalla fine del Concilio ci sono i Consigli Pastorali e come funzionano a livello di parrocchia e di vicariato? quali iniziative per farli crescere?

- Cosa si fa perché cresca una maggiore coscienza missionaria nei confronti di fratelli «lontani» e di situazioni che attendono la buona novella?

- In un mondo tutto fondato sulla comunicazione, come valutiamo la gracilità dei nostri strumenti di conoscenza e di dialogo: Gente Veneta e Radio Carpini? Come si potrebbe fare per potenziarli?

- Quali, secondo voi, gli altri elementi di debolezza pastorale e missionaria della Diocesi? Cosa si potrebbe fare per un rinnovamento della nostra capacità di evangelizzazione?  

 

5. Di fronte alle urgenti necessità pastorali e ai molti spazi scoperti siamo portati a «scaricare» sugli altri (il vescovo, i sacerdoti, la Diocesi, la parrocchia ecc.) l’onere di provvedere: come educarci a comprendere che le cose incominceranno effettivamente a cambiare quando ciascuno di noi farà qualcosa di concreto perché cambino e si sentirà responsabile in soli do delle situazioni e dei problemi?

 

PARTE SECONDA
Guardando al futuro: in quali solchi seminare

I. Un terreno da coltivare: la fascia adulta della comunità

25. Abbiamo sottolineato, nella prima parte, gli esiti negativi del difficile confronto tra una pratica di fede, non sufficientemente interiorizzata e motivata, e il radicale cambiamento di quelle strutture culturali e sociali che, in qualche modo, l’avevano supportata.

Un processo storico, però, non è mai ineluttabile, ma mette sempre in gioco la libertà e la responsabilità dell’uomo. Tanto più che, accanto agli aspetti negativi del nostro tempo e della nostra situazione, ci sono anche chiare prospettive di speranza: nascono nuove sensibilità autenticamente evangeliche e prendono corpo sincere realtà di grazia.

Il problema della nostra Chiesa è quindi la sua capacità di discernere i solchi dentro i quali seminare. È, in altre parole, la nostra capacità di leggere i segni di Dio, non intorpidendoci nella malattia della pigrizia spirituale.

a) La pastorale degli anni settanta e ottanta

26. Fino ad oggi lo sforzo maggiore della nostra pastorale si è realizzato nella fascia della fanciullezza. Resi avvertiti, agli inizi degli anni settanta, che la fede ormai non poteva più es- sere supposta, abbiamo concentrato i nostri sforzi sull’evangelizzazione in vista dei sacra- menti dell’Iniziazione Cristiana. L’impegno maggiore, di fatto, è stato realizzato nella prepa- razione dei fanciulli ai sacramenti, trasformandola da «scuola della dottrina cristiana» – come pertinentemente era allora chiamata – in un vero «cammino di fede»; sollecitando anche, con molta fatica, il coinvolgimento responsabile dei genitori. Inoltre, ci siamo impegnati vigorosamente nella formazione dei catechisti: su questo obiettivo negli anni settanta e ot- tanta la Chiesa Italiana ha speso le sue forze migliori.

I frutti non sono mancati. I due ultimi decenni saranno ricordati nella storia della nostra Chiesa come anni decisivi, sia per la elaborazione dei Catechismi – un impegno immenso! – sia per lo sforzo corale di attivazione della fede delle comunità, rinnovando creativamente la catechesi della Iniziazione Cristiana, formando schiere di catechisti, e coinvolgendo una larga partecipazione di laici e di religiose nel compito della catechesi.

Senza sottovalutare quanto si è fatto in altri settori della vita cristiana – soprattutto nella rivalutazione del senso cristiano del matrimonio e nell’attivazione della responsabilità dei laici – mi pare incontrovertibile che in nessun campo ci si è impegnati come per l’Iniziazione Cristiana dei ragazzi. Un patrimonio acquisito, da non disperdere.

b) Necessità di un riequilibrio dell’impegno pastorale

27. Oggi però, proprio per il contesto storico radicalmente secolarizzato in cui viviamo, è chiaro che senza l’apporto della fascia adulta, quale «grembo di gestazione» delle generazioni più giovani, lo sforzo in atto per i fanciulli e gli adolescenti viene in larga parte vanificato e lo slancio missionario della comunità rimane depotenziato.

Non c’è dubbio che gli adulti siano la fascia portante della Chiesa e della società: proprio quegli adulti che, di fatto, hanno subito i contraccolpi più demolitori del cambiamento culturale e, talora, si sentono «spiazzati» a livello di vita di fede, e quasi «messi fuori gioco» dalla incapacità di far sintesi fra la fede ricevuta e «il nuovo» che si trovano a vivere (basti pensare alle novità portate dai mezzi di comunicazione e dall’ingegneria genetica…).

Con tutto questo è rimasto invece pressoché generale il consenso – che non può essere frettolosamente giudicato vuoto di ogni significato di fede – sull’educazione cristiana dei figli o, almeno, sulla richiesta dei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Anche se si tende a viverli confusamente in chiave sempre più secolarizzata, dove prevale l’appuntamento sociale della festa.

È urgente che il problema della fede della comunità adulta venga affrontato direttamente, prendendo atto che a far questione non sono i ragazzi, ma gli adulti.

Da qui la necessità di un riequilibrio del nostro impianto pastorale: è anzitutto questione di mentalità in tutti i responsabili – sacerdoti, religiosi e laici – e solo in seguito questione di cose da fare.

Un riequilibrio che non può significare un rallentamento dell’impegno per i fanciulli, ma lo sforzo di trovare strade di evangelizzazione per coloro che, essendo i primi responsabili di un costume ecclesiale e sociale – che faccia cultura, ambiente e mentalità – devono essere oggi i primi destinatari del nostro impegno pastorale di rievangelizzazione.

Va notato a questo punto – perché forse è il segnavia che ci indica la direzione – quanto sia importante rilevare che, nella nostra situazione religiosa per quanto difficile, la stragrande maggioranza dei genitori chiede l’Iniziazione Cristiana per i figli: in essa quindi la comunità ha ancora una provvidenziale possibilità di incontro, di dialogo e di evangelizzazione della parte più viva della comunità, i genitori giovani e maturi.

È un fronte da potenziare, ricco di speranza per il futuro delle nostre comunità.

Non si tratta quindi di sostituire all’attenzione per i ragazzi quella per gli adulti, ma di ripensare a fondo la catechesi dei ragazzi e di fornirla di strumenti adeguati, perché diventi il momento più importante di crescita e di evangelizzazione degli adulti.

c) Centralità dell’Iniziazione Cristiana

28. Urge fare una ulteriore annotazione. Negli ultimi due decenni, con crescente accelerazione, il matrimonio e la famiglia sono andati evidenziandosi come il ganglio nevralgico della crisi della fascia adulta: sulla famiglia esercita le sue maggiori risonanze la perdita di valori cristiani che abbiamo denunziato; nello stesso tempo ogni ripresa di vita cristiana non può non passare attraverso la famiglia.

Partendo da questa situazione e volendo ad essa rispondere, ci sembrano chiari l’obiettivo di fondo del nostro impegno pastorale e le traiettorie per raggiungerlo.

Se la nostra Chiesa vuole rispondere alla vocazione missionaria con cui Dio la chiama, deve riqualificarsi e, in parte, riequilibrarsi in funzione della rievangelizzazione della fascia adulta dei credenti:

- percorrendo tutte le strade possibili di una catechesi che rimotivi e risignifichi la loro fede nella storia attuale, valorizzando in particolare l’Iniziazione Cristiana dei figli;

- proponendo con impegno una pastorale del matrimonio e della famiglia adeguata alla situazione culturale di oggi;

- accompagnando i giovani nel loro cammino dentro l’età adulta, aiutandoli a investire in scelte quotidiane di vita la grazia ricevuta nel Battesimo, nella Cresima e nell’Eucaristia.

Questi tre obiettivi, che trovano un punto di incontro nella centralità dell’Iniziazione Cristiana, devono imprimere a tutta la pastorale, compresa quella per i ragazzi, una qualificante vigilanza perché cresca una comunità di adulti più credente, più consapevole e motivata nella sua fede.

Va detto di passaggio – ma non è cosa da poco – che il fatto di incrociare nei nostri cammini pastorali l’Iniziazione Cristiana risulta un confortante riscontro di autenticità delle scelte fatte, trattandosi non di un elemento periferico, ma del cuore – sorgente e struttura portante – della vita cristiana. 

 

29. L’abbiamo già detto: un «riequilibrio» non può significare trascurare i ragazzi a favore degli adulti: sarebbe una ferita al Vangelo e alla dignità personale e ai diritti del ragazzo, che è un battezzato; né, per le stesse ragioni, è ammissibile che si puniscano i ragazzi per le colpe o negligenze dei genitori. Significa invece fare una pastorale dell’Iniziazione Cristiana guardando agli adulti: coinvolgendoli, valorizzando i loro doni e tutta la ricchezza di grazia custodita nel «tesoro» della famiglia; chiamando anche i giovani a far proprie le responsabilità formative della parrocchia nei confronti dei più piccoli, a fare loro la Catechesi, e a iniziarli così a capire il mistero dell’«Ecclesia Mater».

Certo non sarà un compito facile. Esso però ci aiuterà a ricostruire una comunità cristiana più matura; inoltre contiene in sé una forte carica missionaria, capace di portare all’esperienza di fede genitori, familiari e amici. 

 

30. Quanto andrò dicendo non è nuovo: è la strada su cui stiamo camminando da anni. È necessario però una più lucida e consapevole convergenza di sforzi.

A me compete indicare la strada e mostrare ciò che deve essere perseguito da tutti. Agli Uffici il compito di svolgere ulteriormente e di sostenere il comune cammino offrendo suggerimenti e sussidi; ai Vicariati e alle Parrocchie quello di adattarlo alle situazioni locali, arricchendo ogni cosa con creatività viva e originale.

II. Tre cammini convergenti

1. La catechesi degli adulti

31. Parlando di Catechesi degli adulti bisogna guardarsi da frettolose semplificazioni. La situazione degli adulti, oggi, rispetto alla fede, è estremamente disomogenea e va dai non più battezzati, a coloro che, battezzati, si professano non credenti, a quanti praticano quasi soltanto per abitudine o non praticano se non sporadicamente, pur mantenendo diversi riferimenti alla fede; a quelli, infine, che confessano coraggiosamente la loro fede nella pratica quotidiana della vita, anche nella solitudine di situazioni fortemente scristianizzate.

Sarà quindi necessaria una grande duttilità, prevedendo proposte catechistiche capaci di rispondere ad esigenze diverse, per lo più presenti contemporaneamente nella comunità: dalla cosiddetta «preevangelizzazione», a momenti forti di primo annuncio, alternati ad altri di vera e propria catechesi. 

 

32. Alcune costanti qualificanti non possono mai essere disattese quando si fa una proposta di fede e, a maggior ragione, una vera e propria Catechesi a degli adulti. Tali sono:

- il contatto con la Parola di Dio, in particolare con i quattro Vangeli;

- lo sforzo di «riflettere» sulla verità di fede, di «comprenderla», almeno inizialmente e poi sempre più, perché l’assenso sia motivato, pienamente umano, «da adulti»;

- il confronto della fede con i problemi della vita e della storia, perché orienti il vivere oggi;

- la partecipazione attiva del soggetto alla riflessione e al confronto: un adulto non può consegnare totalmente ad altri, siano anche maestri, lo sforzo di leggere la propria storia nella luce di Cristo e di trarne le conseguenze in ordine al proprio vivere. 

 

33. Tutto questo deve realizzarsi in «un cammino di fede» che orienti la vita: esso suscita la preghiera, sollecita la partecipazione all’Eucaristia e approda a quel «discernimento» che consente di vivere responsabilmente da cristiani, in pienezza di dimensione personale e sociale, nella storia di oggi (è il momento etico).

A questo punto mi pare importante enucleare alcuni impegni concreti sui quali misurarci.

a) Catechesi parrocchiale per tutti

34. In ogni parrocchia, come esiste la catechesi per l’Iniziazione Cristiana, deve esserci la catechesi degli adulti. Essa va insistentemente proposta a tutti i battezzati quale esigenza della vita cristiana adulta.

Non è pensabile un itinerario formativo per adulti che non comprenda la catechesi, come non sono pensabili degli animatori di pastorale, per qualsiasi tipo di responsabilità, che non partecipino alla catechesi degli adulti organica e permanente. Non è pensabile una comunità cristiana che voglia essere missionaria – valorizzando i laici dispersi nelle realtà d’un mondo radicalmente secolarizzato – senza una catechesi che li renda capaci di «dare ragione» della propria fede. Essa appartiene a quei momenti in cui «Dio educa il suo popolo», che sono fondamentali, in quanto sottostrutturano ogni altro discorso formativo, e comuni a tutti, in quanto, con l’Eucaristia, costruiscono il popolo cristiano nell’unità della fede, antecedentemente ad ogni altra differenziazione. 

 

35 La catechesi degli adulti è, per sé, organica nella proposta dei contenuti – la conoscenza totale e organica della fede appartiene alla statura adulta del credente – permanente e con una periodicità che va misurata sulle situazioni concrete, in modo da accompagnare il credente nel suo cammino di crescita.

Riferimenti essenziali sono la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa: strumenti per questo riferimento sono normalmente il «Catechismo degli adulti» elaborato dai Vescovi e la Bibbia a cui esso continuamente rinvia e che va messa in mano ai fedeli. 

 

36. Deve essere condotta in modo da rendere necessario il confronto e il dialogo, perché solo così, mediante la partecipazione attiva, avviene l’assimilazione e l’interiorizzazione dei contenuti: «insieme» si trovano anche le umili mediazioni del linguaggio per esprimerli, por- gerli e confrontarli con i problemi e le nuove condizioni di vita.

Una metodologia di dialogo e di partecipazione non depotenzia mai i contenuti veritativi della fede, né elude, anzi richiede – se vuole essere leale verso l’interlocutore – l’ascolto del Magistero: la prima e più grande carità è quella della verità… Sarebbe però povera ed insufficiente una catechesi che fosse solo passività. Altro è «l’ascolto di Dio», altro è la passività. L’incontro con Dio sempre rapporto, dialogo, come fu quello di Maria nel mistero dell’Annunciazione. 

 

37. I tempi forti dell’Avvento e della Quaresima devono caratterizzarsi con una offerta più larga di catechesi degli adulti, facendo leva anche su una cerchia di persone che normal- mente non partecipa, ma che potrebbe rendersi sensibile ad una proposta in preparazione del Natale e della Pasqua. Avrà, in questo periodo, le caratteristiche di una catechesi fondamentale, che propone i temi del primo annunzio e col metodo del primo annunzio, in un contesto vivo di fede, dove accanto agli elementi della riflessione, siano fortemente presenti quelli della conversione del cuore. 

 

38. È difficile pensare una catechesi degli adulti – partecipata, viva e non solo passiva – senza la presenza di animatori, cioè di fratelli più maturi nella fede che, avendo già percorso un cammino formativo, possano con la loro partecipazione, arricchire il dialogo, attivando il confronto fra la verità della fede e i momenti di vita, per una scelta di libertà.

Punto di arrivo della parrocchia deve essere anche la preparazione di Catechisti laici per adulti, restituendo il Sacerdote a compiti che più propriamente ed esclusivamente gli competono: tale preparazione è oggi più agevole che in passato, potendosi avvalere – oltre che di iniziative specifiche – della Scuola Biblica diffusa ormai in tutta la Diocesi, della Scuola di Teologia di Mestre e del Centro Pattaro a Venezia.

b) Catechesi nelle case

39. Accanto alla catechesi parrocchiale, incoraggio l’esperienza della catechesi per adulti nelle case: una catechesi integra nelle verità che propone, semplice nel modo e nel lin- guaggio familiare. È un atto di fede nella grazia della famiglia che nasce dal sacramento del matrimonio, nella vocazione missionaria che le è propria, rícuperando una pagina antica e sempre presente nella storia del cristianesimo, che spesso ha visto nascere e crescere la Chiesa dentro «la casa cristiana». La famiglia come «ecclesiola», cellula della Chiesa, appartiene alla grande tradizione: pensiamo agli Atti ed alle lettere degli Apostoli.

«La catechesi nelle» case valorizza i laici nei loro doni battesimali, assume il linguaggio umile della vita concreta, crea l’ambiente adatto alla preghiera semplice, riscopre il parlare nella fede dei problemi di tutti i giorni e dell’oggi. È un modo vero di inculturazione, di radicamento e di insediamento della fede nella vita. È un’osmosi vitale, un luogo di crescita del credente che, per la presenza dello Spirito Santo, fa sintesi fra vita e Vangelo.

La Visita Pastorale mi ha rivelato che in Diocesi questa esperienza va diffondendosi, originata da occasioni diverse, per lo più come continuazione dei «gruppi di ascolto» messi in atto dalle Missioni al popolo.

Certo una catechesi di questo tipo richiede, a maggior ragione, persone capaci di guidarla: tali però possono considerarsi i nostri catechisti dell’Iniziazione, gli animatori di pastorale familiare e giovanile ecc., i partecipanti alle Scuole diocesane biblica, teologica, almeno dopo un congruo periodo di frequentazione. E quale approdo migliore potrebbe pensarsi per tali iniziative, che potrebbero, se presentate e strutturate anche in vista di questo, inserirsi nell’impegno missionario di tutta la nostra Chiesa? 

 

40. Dovrebbe contemplare anche la visita periodica del sacerdote, da dedicare alla richiesta di spiegazioni, ad un attento confronto e, forse, ad una più intensa preghiera. 

 

41. Né si temano, più del necessario, i rischi di una catechesi non affidata a «specialisti». Il pericolo più grave oggi è la crescente secolarizzazione della famiglia, quando – fra i coniugi, con i figli e gli amici – del Signore non si parla più e insieme più non si prega; è la profanità crescente della casa, l’incapacità a parlare del Signore con il linguaggio delle cose di tutti i giorni e a trovare un aggancio con dei fratelli che ormai, per ragioni diverse, sono estranei alla fede e che, solo attraverso cammini pazienti, dolci e conversativi, riuscirebbero a ricuperare il contatto con la comunità ecclesiale, la vita sacramentale, l’ascolto dei pastori e l’esercizio della carità. 

 

42. In questo tipo di catechesi – che è un vero itinerario di vita – la metodologia è la meno scontata. La strada maestra in questi casi, specialmente quando sono presenti persone «lontane» – (chi riuscirà a trovare una espressione che affermi con chiarezza che noi possiamo allontanarci da Dio, ma Dio non si allontana mai da noi?) – è la lettura della Parola di Dio in un clima semplice di ascolto di fede. Noi crediamo che la Parola è presenza ed è presenza potente: «Dio disse e fu fatto» (Gen 1,3). Noi crediamo che lo Spirito Santo è presente e suggerisce nel cuore le parole di Gesù. Noi sappiamo ancora che la Parola di Dio è sempre «Verbum salutis»; intervento d’amore di Dio nella storia per salvarci. È anche giudizio, che decide il nostro destino.

Bibbia e Catechismo degli adulti dovrebbero essere i libri più sfogliati in una famiglia cristiana che voglia farsi carico della fede dei fratelli.

c) L’Iniziazione Cristiana dei figli

43. Lo strumento più prezioso di catechesi o, forse più propriamente, di pastorale per gli adulti, che oggi il Signore ci offre, è però la celebrazione dei Sacramenti della Iniziazione Cristiana dei figli.

Il problema va trattato con più impegno oggi di quanto non fosse necessario solo pochi anni fa, dato il cambiamento della situazione.

L’Iniziazione Cristiana è certamente un’occasione preziosissima, perché i sacramenti dei figli sono sempre un’offerta di grazia per la famiglia: Dio entra in casa e si fa commensale (Lc 19,5). Però, perché porti frutto, quella occasione di grazia va trattata con molto discernimento. Gli incontri di Gesù con i peccatori e le peccatrici sono tutti un esempio mirabile di discrezione e di dolcezza.

1 - Principi di riferimento

44. – I primi responsabili dell’Iniziazione Cristiana dei figli sono i genitori credenti, espressione primaria e fondamentale della «Ecclesia Mater». La «casa» è un luogo non surrogabile per una crescita cristiana che sia anche esperienza e maturazione di fede. La comunità affianca la famiglia integrandola e, talora, supplendola.

– Le tappe della Iniziazione Cristiana dovrebbero costituire le feste più grandi per una famiglia, a cui tutti i familiari partecipino, preparandosi come a momenti supremi di grazia.

– Questi momenti di grazia per i genitori e i familiari vanno quindi valorizzati con un impegno pastorale non minore di quello che la parrocchia rivolge ai fanciulli.

La cosa si presenta particolarmente difficile sia perché manchiamo di una tradizione e di una prassi consolidata, sia perché i genitori, specie i più estranei a un discorso attuale della comunità cristiana, rifiutano un loro coinvolgimento e si domandano che senso abbiano tali novità.

È però una linea di impegno inderogabile da costruire insieme. Essa ricupera l’Iniziazione Cristiana come uno degli elementi strutturali di tutta la pastorale comunitaria, a cui oggi dovrebbe convergere ogni altra cosa: come tutto converge intorno al mistero pasquale, di cui l’Iniziazione Cristiana è il dono proprio.

Tale impostazione inoltre ricolloca la famiglia, e in particolare il papà e la mamma, al posto che Dio le ha assegnato (cf. At 16,32-34; Gv 4,53). 

 

45. Qualche iniziale esperienza in questa linea porta già buoni frutti; per lo più si incontrano resistenze e insuccessi.

È importante camminare insieme, cercare insieme le strade, sapendo che, per certi versi, siamo ritornati agli inizi della predicazione del Vangelo, con l’aggravante d’una ritualità sociale che fa fatica a maturare verso scelte di fede, peraltro molto impegnative.

Le situazioni di partenza sono diverse e tali sono anche le nostre sensibilità. La direzione però è chiara.

2 - Attenzioni per la prassi pastorale

46. Tutto questo richiede:

- che l’itinerario di Iniziazione Cristiana sia sempre pensato con la comunità e coi genitori;

- che le celebrazioni dei Battesimi, la presentazione dei comunicandi e dei cresimandi all’assemblea eucaristica (magari nel giorno del Battesimo di Gesù o in un’altra domenica) e la celebrazione di tali Sacramenti siano «pietre miliari» nel calendario pastorale della parrocchia e coinvolgano l’intera comunità.

- che i catechisti dell’Iniziazione siano preparati in vista di questo;

- che l’istituto dei padrini sia gradualmente fatto evolvere in questa nuova prospettiva. 

 

47. Mi preme fare due osservazioni:

a) Quanto ho detto va impostato con decisione, ma anche con gradualità, perché non è conforme alla mentalità corrente. Il cambiamento di mentalità nella vita di fede fa parte della «conversione»: capire le cose che abbiamo detto significa aver già aperto il cuore a una prospettiva che trasforma la vita.

E questo non si può imporre: ha necessariamente i suoi tempi di assimilazione. Occorrerà allora la pazienza di lunghi accompagnamenti.

Ma sarà una pazienza premiata da frutti validi, soprattutto perché preparano un futuro più ricco.

b) Raccogliere il cammino della comunità cristiana, in particolare dei genitori e delle famiglie, intorno all’Iniziazione Cristiana per lasciarsi da essa convertire e rigenerare come «cristiani nuovi», non è un ritorno a una prassi sacramentale in cui ciò che conta è «ricevere» dei sacramenti, prescindendo dalle motivazioni di fede.

Lo sforzo ora proposto è tutto orientato al ricupero vitale della fede; la stessa catechesi non è prima di tutto un «sapere», ma un cammino maturo di fede. Se il cammino è intrinsecamente orientato al momento sacramentale – la salvezza cristiana è sacramentale – questo è «incontro»: incontro oggettivo con una grazia, sì promessa, ma ricevuta nella libertà e susci- tatrice di responsabilità.

3 - Casi difficili

48. Passiamo ora ai casi difficili, cautelandoci però immediatamente dalla suggestione di livellare tutta la pastorale dell’Iniziazione sui casi difficili.

I casi difficili oggi sono più frequenti di alcuni anni fa; anche se ci creano difficoltà e ci fanno soffrire, non possono giustificare una pastorale a basso profilo. Vanno visti ad uno ad uno, come i casi difficili del vangelo (cf. Gv 8,1-11; ecc.).

Sempre più frequentemente talune famiglie, quand’anche chiedano i sacramenti per i figli, non sono sufficientemente motivate; talora non sono praticanti, o sono ecclesialmente non regolari.

Vorrei proporvi alcune meditate riflessioni:

1) Innanzitutto va sottolineato con forza che i ragazzi e i fanciulli sono interlocutori di Dio e destinatari della sua grazia, anche se i genitori non credono. In questo caso è la comunità credente – per es. i catechisti a cui i genitori affidano i figli – che deve farsi carico della loro vita di fede: una responsabilità e un impegno gravi e difficili, quant’è grave il rifiuto dell’Iniziazione Cristiana a un fanciullo che, essendo ben preparato, la chieda. Evidentemente occorre il consenso del genitori perché il fanciullo frequenti la comunità e sia ammesso alla preparazione ai Sacramenti: normalmente però non è questo il problema.

Ai genitori si deve essere disposti a dire cosa ai loro figli viene proposto di credere, quali atteggiamenti si invitano ad assumere, quali scelte sono chiamati a fare.

Spesso proprio per questa strada la grazia muove nei genitori la scelta libera, radicata nel loro Battesimo e nel Matrimonio, di lasciarsi coinvolgere nel cammino di fede dei figli, fino al pieno ritrovamento della fede vissuta. Il mistero cristiano, infatti, è l’eccedente risposta di Dio alla richiesta di pienezza scritta nella struttura stessa dell’essere umano. Noi sappiamo che i Sacramenti, gesti salvatori di Cristo compiuti con le mani della Chiesa, non sono mai da noi meritati: ad essi – che sono sempre segni dell’amore preveniente, infinito e gratuito di Dio – noi possiamo solo aprire il cuore nella fede operosa. Cose grandi accadono quando Dio entra nelle case dei suoi figli e siede a mensa con loro. 

 

49. 2) Certo «la solitudine familiare» del ragazzo, che procede nell’Iniziazione Cristiana senza la solidarietà dei genitori, non va sottovalutata. È evidentemente una situazione «patologica» nell’organismo ecclesiale e sarà «la croce» di questi e degli anni futuri.

È però un problema grave, sempre presente nelle stagioni «missionarie» della Chiesa, da trattare con grande discrezione. Sono in gioco la libertà di Dio che fa grazia a chi vuole fare grazia, il diritto del ragazzo che è interlocutore di Dio, la natura «materna» della Chiesa; è in gioco anche «la maternità» della comunità che si deve attivare con forza intorno ai figli più deboli.

In genere, quando si affacciano casi difficili, l’atteggiamento pastorale più autentico non è la semplificazione del problema (escludere o senz’altro ammettere), ma la passione del Buon Pastore che prende il caso sulle spalle, intensificando lo sforzo di persuasione e di evangelizzazione, nella pazienza, nell’amore e nella preghiera (cf. 2Tm 4,2). Questo dico non solo per i presbiteri, ma anche per i catechisti e per la comunità più sensibile e responsabile. 

 

50. 3) Ai genitori «la Chiesa madre» offre il dono di Dio: «se vuoi», come dice sempre Gesù, con l’urgenza dell’amore infinito del Padre. È il loro «cuore» che deve aprirsi a Dio. A noi spetta fare udire la sua voce che risuona sicura nei Sacramenti della Chiesa – nel cammino di preparazione, nella celebrazione e nella grazia di vita nuova che li segue – e sostenere il loro dialogo col Buon Pastore che bussa e chiama; a noi spetta «preparare» la conversione con l’intercessione e la testimonianza dell’amore misericordioso.

«Le pagine della comunità» presenti nei Catechismi, soprattutto in quello del fanciulli, sono ricche di preziose indicazioni per gli incontri con i genitori e sullo stile evangelico con cui condurli.

Quando incontro un uomo o una donna, credente, so che Dio li ama in Cristo crocifisso: in Lui, buon pastore, li cura, per mezzo di Lui si fa loro samaritano caricandoseli sulle spalle (cf. Is 53,4). E mi sovviene della parola di Isaia: «non spezzò la canna incrinata, né spense il lucignolo fumigante» (42,3).

A me pare che il mondo oggi abbia bisogno soprattutto di vedere una Chiesa che onora la verità – essa è serva del Signore, non è padrona – ma nello stesso tempo testimonia la sua misericordia.

Tutto sommato il mio, più che di merito, è un discorso di stile.

Purtroppo dovremo anche dire di no. Ma in un mistero di amore e di croce, di misericordia e dono di noi stessi.

d) Stile evangelico: considerazioni conclusive

51. L’accenno allo «stile evangelico», fatto di urgente invito e di rispetto per la libertà della risposta dovuta a Dio, deve «qualificare» sempre la catechesi e, più generalmente, la pasto- rale degli adulti, proprio in considerazione della diversità delle situazioni dei soggetti, oggi più che mai presente.

Pur tra mille dubbi e mille segni di crisi, l’uomo contemporaneo difficilmente accetta messaggi che non gli diano il modo e la possibilità di essere protagonista delle proprie scelte e della propria vita. Dio infatti ha creato l’uomo a sua immagine e la libertà della risposta appartiene all’immagine del Padre impressa nel figlio. Solo nel consenso l’immagine si realizza: «Si faccia di me secondo la tua Parola» (Lc 1,38).

Per questo nella catechesi ogni soluzione precostituita, ogni affrettata e artificiosa conclusione della ricerca è, quanto meno, inutile. Non si tratta di discutere la Verità, ma di proporla usando lo stile buono di Gesù con Nicodemo (cf. Gv 3,1-21). Percorrendo nella catechesi le pazienti strade sulle quali Dio ha condotto come per mano l’umanità verso l’incontro con Cristo, con costante misericordia e nei modi più diversi, «con eventi e con parole ad essi familiari, parlando al suo popolo secondo il tipo di cultura proprio delle diverse situazioni storiche».

La catechesi degli adulti rispetta quindi i tempi di crescita e di maturazione di quanti vi partecipano.

Ogni altra strada divergerebbe dal Vangelo, «la verità che fa liberi» (Gv 8,32), e sarebbe oltretutto, molto precaria. 

 

52. La disomogeneità e diversità delle situazioni personali nei confronti della fede, che caratterizza oggi le comunità cristiane, è una sfida per la pastorale: solo l’amore e la pazienza di Cristo, avvalorati dalla fede nella sua presenza, sosterranno nella Chiesa la fatica del camminare insieme verso la Verità. In un mondo frantumato, com’è il nostro, solo la verità e la pazienza di Cristo possono creare accoglienza, pur nella diversità, e un comune cammino verso Colui che è via, verità e vita. 

 

53. A questo punto a me si impone la considerazione già fatta al n. 41. Le speranze della no- stra Chiesa riposano nella sua capacità di dotarsi di una nervatura ministeriale di catechisti, animatori ecc. i quali, vivendo il dono della vita cristiana nella Chiesa, si mettano a servizio dei fratelli perché a loro volta lo possano accogliere e vivere. Questi fratelli adulti nella fede – giovani o di età matura che siano – sono il nerbo e la struttura ministeriale portante della comunità.

Qui deve quindi convergere tutto il nostro sforzo. 

 

PER LA RIFLESSIONE E LA VERIFICA

54. 1. Circa il cambiamento del contesto storico, e del clima culturale, in cui le comunità vivono: quali cambiamenti hanno subito in questi due decenni le nostre comunità e quali interferenze essi hanno esercitato sulla vita di fede dei battezzati?

Questo sforzo è necessario: una pastorale non situata «sbaglia la mira». Non basta dire cose vere, bisogna dirle in modo pertinente; non basta offrire doni preziosi, occorre aiutare le persone a scoprirli e a valorizzarli.

Leggendo le lettere degli Apostoli, noi possiamo ricostruire lo «status» delle loro comunità, tanto essi esprimono una conoscenza concreta delle medesime. Lo stesso vale per i singoli evangeli, non semplicemente sovrapponibili, appunto perché rivolti a comunità tipologicamente diverse, con problemi ed esigenze diverse.  

 

2. Sulla ricostruzione d’una comunità adulta nella fede.

a) qual è lo status della catechesi degli adulti in parrocchia?

Quali iniziative e in quali gruppi viene fatta?

Chi vi partecipa?

Qual è il modo della partecipazione: ascolto, dialogo, ecc.?

Quale valorizzazione del Catechismo degli adulti della CEI?

Quali altre iniziative di catechesi per gli adulti: Scuola Biblica, Scuola Teologica, Comunità neocatecumenali…?

Le associazioni ecclesiali di adulti quale forma di catechesi propongono?

b) Ci sono esperienze di catechesi nelle famiglie?

È pensabile proporle?

Quale itinerario potrebbe essere messo in atto per arrivarvi?

c) Qual è la posizione della comunità nei confronti dell’Iniziazione Cristiana dei fanciulli? Dato per scontato che veniamo da una situazione di fede fondamentalmente condivisa, in cui il Battesimo, la Cresima e il primo accesso all’Eucaristia, erano i «sacramenti dei bambini»; dato anche per scontato che la pastorale aveva, per un complesso di ragioni, messo in silenzio la centralità del Mistero Pasquale: come può essere attivata una mentalità che valorizzi i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana come struttura portante della pastorale degli adulti? Con quale gradualità, con quali prassi e iniziative si può camminare verso questo obiettivo? Come preparare i catechisti a questo nuovo ruolo nella comunità e a questa rinnovata prassi nella catechesi?

Quali iniziative si fanno per coinvolgere i genitori: quale parte ha il presbitero in queste iniziative, e quale i catechisti?

2. La pastorale del matrimonio e della famiglia

a) La situazione odierna

55. Un altro snodo decisivo nella costruzione d’una comunità cristiana adulta, capace di testimoniare la fede nella vita, è certamente il matrimonio e la famiglia.

Rispetto ad essi, fondamentali per la società e per la Chiesa, il «cambiamento culturale» è stato sconvolgente. Il dissolversi della cultura agricola dominante, rapidamente scomparsa in seguito all’industrializzazione e all’urbanizzazione e, oggi, l’affacciarsi dell’era post-industriale, hanno messo in crisi, non solo un modello culturale di famiglia – come ci si poteva attendere – ma i valori stessi intrinseci all’istituto matrimoniale e familiare.

Se a questo si aggiunge che «il cambiamento» è andato in combinazione con un mutato significato attribuito all’amore umano e con la frantumazione dell’ordine dei valori morali, aprendo la strada al relativismo e a quella specie di allergia nei confronti di ogni norma assoluta e valida per tutti, che caratterizza questa nostra generazione – al punto da costituire quasi «un clima» respirato e acriticamente accettato dagli stessi credenti meno riflessivi – noi intuiamo la misura della radicalità della crisi che ha investito il senso cristiano del Matrimonio e della famiglia.

L’immagine del Matrimonio unico, indissolubile e aperto alla vita – riferimento comportamentale comune fino all’ultima generazione – non fa più parte «pacifica» dell’ethos odierno, anche nelle nostre zone sempre ritenute tra le più cristiane. La sessualità, l’amore, il matrimonio e la famiglia sono anzi «il punto critico» delle nostre comunità, sia sul piano della mentalità, che su quello dei comportamenti.

L’impegno a far crescere una comunità adulta nella fede e la stessa pastorale giovanile passano ineludibilmente attraverso la ricostruzione, nella mentalità dei battezzati di oggi, del valore umano e cristiano della sessualità-amore, del matrimonio e della famiglia. Questi ultimi sono la cellula viva della Chiesa e la scuola fondamentale e primaria dell’agire e del pensare umano e cristiano e tirocinio quotidiano di essi. Dovrebbero essere gli attori primari del cammino di fede dei figli. Sono anzi determinanti agli effetti di un costume civile, il fattore píù decisivo della cultura di un popolo. Siamo quindi nel cuore del nostro «travaglio»: è giustificato perciò rivolgervi attenzione e impegno, in vista del futuro della comunità cristiana. 

 

56. Di fatto la nostra pastorale è ancora pensata più come «argine» alle incoerenze morali e alle situazioni anomale e difficili di tanti coniugi e famiglie, che come risposta alle ragioni che, nel cambiamento, ne hanno determinato la crisi e quindi come annunzio della «grazia» del matrimonio cristiano.

Va invece ricostruita nella comunità una «mentalità» cristiana circa il matrimonio e la famiglia, come alternativa in positivo al modo di pensare «mondano» ora dominante.

È questa la situazione nuova da cogliere con lucidità e senza ulteriori ritardi. 

 

57. Da qui la scelta della Chiesa italiana e nostra di riannunziare alle comunità, ai giovani, ai fidanzati ed ai coniugi «l’evangelo» del matrimonio e della famiglia come dono di partecipazione alla vita stessa di Dio in Cristo e quale risposta divina al bisogno di salvezza che sale dal mondo.

Questo richiede una conoscenza rinnovata della proposta cristiana del matrimonio e della famiglia: da parte di tutti, in particolare di coloro che hanno compiti educativi; richiede anche una «nuova» evangelizzazione del dono di Dio per chi ancora non lo conoscesse e la messa in atto di una pastorale che ponga questa esigenza come prioritaria. 

 

58. Ancora una volta: ciò sarà possibile solo in una visione organica del cammino pastorale, sulla scorta di scelte che anche operativamente stabiliscano delle priorità e nel raccordo fra i tre obiettivi individuati come passaggi obbligati per la costruzione di una comunità adulta nella fede. 

 

59. La nostra rilevazione circa la crisi del matrimonio cristiano e della famiglia non significa che tutto sia negativo nell’universo odierno che li riguarda. L’attenzione agli aspetti personali dell’amore, la coscienza della reciprocità dell’uomo e della donna, l’affermazione dei diritti e della parità[1] della donna in termini reali e non solo declamati, il senso del rispetto dovuto anche alla libertà dei figli e lo status sociale della famiglia decisamente migliorato, la maggiore sensibilità alla solidarietà sociale, fino all’apertura della propria famiglia a bambini che ne sono privi ecc., sono maturazioni e conquiste di cui va dato merito alla nostra cultura e alle sue istituzioni: sono fatti che meglio rispondono al disegno di Dio Creatore; sono segni dei tempi e fondamento della nostra speranza.

Tutto questo, mentre attesta in positivo e in negativo quanto sia potente la forza omologante della cultura, proclama l’urgenza di interiorizzazione personale dei valori cristiani del matrimonio e della famiglia, e denuncia la fragilità delle convinzioni circa i contenuti di fede di gran parte delle nostre comunità.

Niente però è più antievangelico del pessimismo e della dimissione pastorale.

b) Riannunziare il «vangelo» del matrimonio e della famiglia

60. Oggi il compito è di riannunziare con libertà e grande fiducia l’evangelo del matrimonio e della famiglia cristiana, in ordine ad un assenso di fede, onde ridare vita a dei comportamenti in cui esso vada a compimento. Non rinunciando a suscitare nella società una rete di istituzioni, che, nel rispetto della libertà, aiutino a vivere tale esperienza e nello stesso tempo consentano ad essa di partecipare a tutta la convivenza civile i valori umani di cui l’esperienza di fede è generatrice.

La comunità cristiana ha così davanti a sé un compito immenso; che non ha significato solo per la comunione ecclesiale, ma anche per la comunità degli uomini. 

 

61. Oggi il compito è anche annunziare la «ministerialità coniugale» nella vita familiare e nella pastorale parrocchiale del matrimonio e della famiglia. Un aspetto della grazia del sacramento che proprio l’attuale confronto della comunità cristiana con la crisi del matrimonio e della famiglia, ha fatto emergere alla coscienza ecclesiale: a riprova che Dio conduce sempre il suo popolo e non lo lascia mai senza il pane e l’acqua necessari per il suo cammino.

Questa responsabilità e ministerialità coniugale deve realizzarsi innanzi tutto nei confronti dei figli, in particolare nel loro cammino di Iniziazione Cristiana, intorno al quale deve costruirsi tutto il processo educativo, sostenuto dalla grazia del Battesimo e dal dono dello Spirito e nutrito dal pane eucaristico, espressione e realtà suprema del mistero cristiano. 

 

62. La presa di coscienza delle cose nuove e antiche circa il matrimonio e la famiglia deve realizzarsi innanzitutto in coloro che nella comunità cristiana hanno compiti di guida, e deve tradursi in un impegno educativo che accompagni l’itinerario formativo del fanciullo, del ragazzo e del giovane, perché la strutturazione della personalità non avvenga in modo disomogeneo rispetto ad una concezione cristiana dell’uomo e della donna e della loro chiamata all’amore nel matrimonio o nella verginità. 

 

63. Si inserisce qui il richiamo all’indeclinabile urgenza di una positiva, graduale e metodica educazione dei ragazzi e dei giovani a vívere responsabilmente e da cristiani la loro corporeità e affettività, per scoprire e realizzare il disegno di Dio creatore, scritto nel nome stesso con cui «all’inizio» sono stati chiamati. Un compito che coinvolge, insieme ai ragazzi ed ai giovani, le famiglie e i contesti educativi, quali la scuola, i gruppi, la parrocchia coi suoi pastori, ecc. 

 

64. Rievangelizzare la grazia del sacramento del matrimonio e della famiglia – che comporta necessariamente anche l’evangelo della verginità, intrinseca e originaria nel senso cristiano dell’amore – deve essere una scelta fondamentale della nostra pastorale; in quanto tale deve essere presente in ogni componente della stessa. La pastorale del matrimonio e della famiglia deve essere colta, valorizzata e attuata come un reale contributo alla catechesi degli adulti (talvolta i corsi per fidanzati e i gruppi sposi sono l’unica forma in atto di catechesi agli adulti) e un’integrazione indispensabile della pastorale giovanile, che non può realizzarsi pienamente senza il contributo del ministero coniugale; deve costituire anche il contesto vitale dell’Iniziazione Cristiana.

c) Scelte pastorali della Chiesa veneziana
1 – Annunziare la novità del matrimonio e della famiglia

65. Innanzitutto, occorre fare ciò che ha fatto Gesù: annunziare la novità dell’evangelo di salvezza contenuta nel sacramento del matrimonio. Avendo fede nella potenza della Parola, che è Cristo il Signore, Parola del Padre. La catechesi poi approfondirà la Parola: ma sempre in atteggiamento di fede; come soggiogati e presi da una potenza che ci supera e ci salva; una potenza che «ha vinto il mondo» (1Gv 5,4).

Questo atteggiamento di fede nel proporre il matrimonio cristiano è pregiudiziale. Nel mondo di oggi non c’è ragione che lo faccia accogliere. I cuori all’annunzio della lieta notizia del matrimonio cristiano li prepara solo il Padre, come è stata per Pietro la rivelazione della realtà divina di Gesù (Mt 16,16). Il matrimonio cristiano è una notizia divina; non c’è sintonizzazione possibile del cuore dell’uomo su questa lunghezza d’onda se non viene creata da Dio stesso. E dalla Pasqua di Cristo viene la forza per viverlo.

Il matrimonio cristiano si comprende solo nella fede e si vive solo nella grazia di Cristo. Questo ci conferma che ogni preparazione al matrimonio dovrebbe avvenire come «cammino di fede». Se non si fa in qualche modo un’esperienza vera di incontro con Cristo, non è pensabile ci si possa aprire ad accogliere il matrimonio cristiano. Prima si accoglie Cristo e, in Lui, Dio nostro Padre; poi si accoglie la partecipazione dell’amore di Dio nel matrimonio. È questo primariamente il senso dei Corsi di preparazione al matrimonio proposti e in larga parte attuati dalla Pastorale diocesana della famiglia.

La Commissione diocesana è impegnata, in attuazione degli orientamenti della CEI, nella trasformazione dei corsi in «itinerari di fede» per fidanzati. Rimane anche l’urgenza di dare ai giovani una formazione-informazione antropologicamente corretta sulle tematiche della sessualità e dell’amore, che veda impegnati insieme gli Uffici diocesani della pastorale catechistica, giovanile e del matrimonio e della famiglia, in collaborazione con il Consultorio diocesano.

Questo lavoro diocesano, però, non sostituisce, ma sostiene e sussidia quello delle comunità parrocchiali che, con il loro presbitero, sono le prime responsabili della formazione al matrimonio, come agli altri sacramenti dell’iniziazione Cristiana.

2 – Gruppo sposi in ogni parrocchia

66. Si costituisca in ogni parrocchia un Gruppo Sposi, che si faccia annunziatore dell’evangelo del Matrimonio, lo testimoni nella vita e sia come il lievito nella comunità. Ad esso do- vrebbe essere affidata la preparazione dei fidanzati al Matrimonio. Evidentemente dopo un periodo di formazione.

3 – Scuola diocesana di formazione per animatori

67. È operante in Diocesi «La Scuola di formazione per animatori di pastorale coniugale e familiare». Essa è decentrata nelle diverse zone e si propone di aiutare le parrocchie e i gruppi nel compito educativo loro proprio, fornendo indicazioni, sussidi e competenze non facilmente reperibili nelle singole comunità.

4 – Situazioni familiari difficili

68. Particolare attenzione va rivolta alle situazioni di cristiani che sono in difficoltà: matrimoni infranti, unioni di fatto, divorziati risposati, ecc. Uno specifico documento della CEI dà precise indicazioni per i confessori ed i pastori (Pastorale delle situazioni matrimoniali non regolari: RDPV [1979] 313-328). Si tratta d’una pastorale che va creata ex novo perché la nostra Chiesa, per la prima volta, dopo molti secoli di storia – nei quali intorno al matrimonio cristiano esisteva un consenso sociale globalmente condiviso – si trova a vivere con una crescente quantità di figli in situazioni cristianamente anomale.

La maternità della Chiesa deve esprimersi soprattutto nel loro confronti. La Chiesa è «la serva» del Signore, non può «disporre» dei doni da Lui ricevuti, li deve solo fedelmente amministrare. Questo non la dispensa, anzi la impegna ad accompagnare con l’amore stesso di Cristo tali situazioni, sostenendone la fede e la speranza.

5 – Violenza fatta alla vita

69. Una delle situazioni sulle quali va esercitata una particolare vigilanza è quella della violenza fatta alla vita, in particolare alla vita nascente. La mentalità abortiva si sta facendo gradualmente strada anche fra cristiani, sempre meno avvertiti circa la sua oggettiva gravità e le sue sconvolgenti conseguenze, al di là delle esplicite volontà, per il fatto stesso che l’intangibile principio del rispetto alla vita sia stato manomesso.

Questo problema interpella la responsabilità dei pastori d’anime, maestri di verità e padri nella fede, ai quali compete il grave dovere della vigilanza, del magistero di verità per la formazione della coscienza morale, dell’accompagnamento dei fratelli e delle sorelle, perché camminino nella fedeltà a Dio e all’uomo.

Interpella la responsabilità dell’intera comunità cristiana, che non può lasciare sola la donna nei momenti più gravi delle sue scelte e responsabilità: deve invece sempre più strutturarsi in vista d’una promozione delle responsabilità personali di fronte alla vita e d’un sostegno comunitario della maternità, anche di quelle difficili: a livello di Chiesa e di società civile.

Sono consapevole che l’aborto non è l’unica violenza inferta alla vita del fanciullo e della donna. «L’economia» di questa mia lettera mi ha costretto a limitarmi a un solo aspetto del problema, particolarmente grave però a causa dell’oscuramento della coscienza sul valore della vita: un fatto che sta creando «cultura» e avrà anche in altri campi conseguenze gravissime e inarrestabili. Quando si manomettono i principi è illusorio e vano presumere di poter arginare le conseguenze.

6 – Valorizzare la ministerialità coniugale

70. Tutto questo fa emergere con forza la necessità di valorizzare la ministerialità dei coniugi in tutti gli aspetti della pastorale e della formazione cristiana.

E questo sia perché nella Chiesa la ministerialità coniugale riesca a trovare il suo spazio, quello che il Signore stesso le ha assegnato, sia anche nel contesto del problema fondamentale per la Chiesa di oggi: la necessità che i laici partecipino responsabilmente, in forza del Battesimo e dei loro doni personali, alla costruzione della Chiesa e all’annunzio missionario del Vangelo nel mondo, per la salvezza dell’uomo.

7 – Attenzione agli aspetti antropologici

71. Proprio per il fatto che il sacramento del matrimonio assume, come segno efficace dell’amore divino, la realtà concreta dell’amore coniugale umano, la pastorale non può trascurare gli aspetti umani – anche a livello civile e culturale – di questa realtà. Questo, da una parte, ci deve rendere molto attenti agli aspetti antropologici del matrimonio e della famiglia, esorcizzando ogni tentazione spiritualista, sempre deleteria e mistificante; dall’altra ci avverte che un matrimonio e una famiglia cristianamente vissuti possono avere un influsso grandemente benefico sulla maturazione umana dei coniugi e dei figli e, contestualmente, sulla società: diffondendo valori, stimolando istituzioni, introducendo rapporti umani non pensabili come «possibili» prima di essere stati concretamente vissuti nella grazia del matrimonio. In una parola sono capaci di ispirare e di lievitare un nuovo modello di convivenza umana. A condizione che siano veramente cristiani e umanamente autentici. In questo modo svelano il senso più recondito della creazione. Tali sono, p. es., la maturità e la serenità della vita a due anche nelle quotidiane difficoltà, il perdono sempre e incondizionatamente concesso, la fedeltà anche non corrisposta, l’apertura della propria famiglia ad altre creature che abbiano bisogno di amore, mediante l’adozione, l’affidamento, l’uso del denaro e del tempo aperto ad una dimensione solidaristica ecc, ecc. 

 

72. In questo quadro di valori e di istanze vanno compresi e valorizzati i consultori di ispirazione cristiana, sia quello aderente all’UCIPEM, nato più di 10 anni fa per iniziativa di un gruppo di laici cristiani, sia quello diocesano, nato due anni fa per iniziativa del Patriarca. Quest’ultimo, oltre alle finalità proprie di un consultorio cristianamente ispirato (cioè essere luogo educativo e terapeutico per i problemi legati alla vita coniugale, familiare e, in genere, alla maturazione affettiva delle persone) è chiamato ad integrare sul piano pedagogico-antropologico la pastorale diocesana.

I consultori di ispirazione cristiana quindi, ciascuno secondo le proprie modalità, fanno parte integrante dell’attenzione che la nostra Chiesa intende dare al matrimonio e alla famiglia, in obbedienza al piano di Dio che ha costituito come sacramento dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa proprio la realtà umana del matrimonio (cf. Ef 5,25-32).

Fra attività pastorale e consultoriale, per quanto distinte, devono realizzarsi maggiore conoscenza e più stretta collaborazione.

Oggi le scienze umane relative alla persona e ai suoi dinamismi possono essere di provvidenziale aiuto per costruire un incontro affettivo più maturo e, per questo, più pieno e più vero. Tale collaborazione si evidenzia tanto più urgente quanto più frequenti sono le difficoltà e le rotture della vita di coppia, che spesso portano al fallimento del matrimonio.  

 

PER LA RIFLESSIONE E LA VERIFICA

73. 1. Quali trasformazioni della famiglia di oggi, quale tipo di crisi dell’istituto matrimoniale, quali concezioni dell’amore e della sessualità si riscontrano anche nella nostra comunità (divorzi, matrimoni civili, unioni di fatto ecc.)? Quali sensibilità più positive nella famiglia di oggi?

 

2. La preparazione al matrimonio e all’autentico amore non può ridursi al momento che precede immediatamente la celebrazione del sacramento. Come si cerca di proporre ai ra- gazzi e ai giovani il valore cristiano dell’amore?

 

3. Attraverso quali concrete esperienze si educa ad assumersi l’impegno dell’amore autentico che è sempre servizio e donazione di sé? Come aiutare ad acquisire il senso della vocazione cristiana in genere, all’interno della quale cresce e si delinea ogni vocazione specifica al matrimonio, al sacerdozio e alla vita religiosa?

 

4. Quali itinerari di fede sono proponibili a ragazzi e ragazze della nostra comunità che cominciano ad avviarsi al matrimonio: si avviano ai «Corsi per fidanzati» organizzati dalla Dio- cesi o dal vicariato? Si è fatta la proposta di veri cammini di fede, su tempi più lunghi, in modo da ricostruire una vita cristiana, talvolta dopo anni di indifferenza e di latitanza? Come preparare coppie o famiglie che affianchino il parroco prendendosi la responsabilità di accompagnare i fidanzati in una riscoperta degli ideali evangelici da vivere nella Chiesa e nella società contemporanea?

 

5. Cosa si fa perché qualcuno della parrocchia o del vicariato partecipi alla «Scuola di formazione per animatori di pastorale coniugale e familiare», per poi affiancare stabilmente i sacerdoti in questo campo?

 

6. Si sono mai sperimentati degli Esercizi e ritiri spirituali per coniugi o famiglie? Come la nostra comunità potrebbe promuoverli nel vicariato o nella zona?

 

7. Come coinvolgere le famiglie nella catechesi, nella vita liturgica, nella crescita della comunità ecclesiale? Come le coppie cristiane possono adoperarsi per i coniugi in difficoltà? Come si potrebbe affidare a famiglie preparate la cura dei nuclei familiari su cui grava il peso di un matrimonio fallito? Come aprire prospettive di servizio caritativo particolare alle famiglie cristiane (handicappati, ammalati, anziani soli o infermi, giovani sbandati, drogati…)? Si potrebbe pensare a un «volontariato» di sposi o famiglie?

 

8. Come dar importanza agli anniversari: come celebrarli a scadenze più ravvicinate rispetto alle tradizionali ricorrenze giubilari (se possibile ogni anno) per «ravvivare la grazia del sacramento»?

 

9. Quale attenzione prestiamo agli aspetti umani (antropologici) del matrimonio e quale valorizzazione facciamo degli aiuti disponibili: per es. i Consultori di ispirazione cristiana?

3. La pastorale giovanile

a) Riflessioni preliminari

74. Volendo proporre alcuni tratti essenziali del progetto di pastorale giovanile, ritengo necessarie alcune precisazioni:

– quanto esporrò è stato costruito con la collaborazione dei giovani stessi, in un cammino organico fra la prima (1985) e la seconda «Festa dei giovani» (1989).

– Tale cammino si è proposto di riscoprire e ravvivare, dentro la condizione giovanile oggi, il senso della grazia dell’Iniziazione Cristiana nella sua valenza personale ed ecclesiale, per aiutare i giovani ad accoglierla, a testimoniarla e a investirla in valori di vita quotidiana, ecclesiale e civile. È stata così valorizzata una prassi: la «mistagogia», appartenente alla grande tradizione della Chiesa. Essa mira a svolgere dinanzi agli occhi «sanati» del battezzato «i doni» propri dei sacramenti ricevuti (Battesimo, Cresima, Eucaristia) i quali, anche se spiegati, senza «l’illuminazione» battesimale non potrebbero essere capiti.

– La scelta di questa pedagogia sacramentale comunitaria corrisponde alla natura della «vita in Cristo»: essa è basata e costantemente generata dai sacramenti della Iniziazione Cristiana, sul cui tronco germinano i doni e i ministeri, che rendono il cristiano responsabile del Vangelo e idoneo alla sua testimonianza nella storia degli uomini, in nome e per conto della Chiesa, in cui è vitalmente inserito.

In tal modo i giovani sono stati condotti a comprendere che Battesimo, Cresima e Eucaristia danno senso e senso pieno al loro cammino di fedeltà al progetto di Dio e alla fatica che lo accompagna sempre (cf. Mc 10,21); e che gli impegni e gli appuntamenti di questa stagione della loro vita – la scelta vocazionale, il fidanzamento o la consacrazione nella verginità, gli studi superiori e l’ingresso nel lavoro, l’impegno ecclesiale e quello sociale e civile ecc. ecc. – hanno valore non soltanto per loro, ma per la Chiesa e la storia. 

 

75. La scelta della «mistagogia» dell’Iniziazione Cristiana come sostanza del progetto formativo dei giovani intende porsi come avvio della vita cristiana adulta, la quale altro non è che testimonianza, resa nella storia degli uomini, alla grazia della Iniziazione Cristiana: ciascuno col proprio dono e ministero.

«Vivere in Cristo», infatti, altro non è che accogliere una rivelazione sempre più stupita e impegnativa dei doni dell’Iniziazione Cristiana e sforzarsi di tradurla nell’amore filiale e fraterno alla sequela di Cristo.

b) Il cammino di fede dei giovani in questi anni

76. Ritengo significativo esporre i contenuti teologali essenziali del progetto educativo per i giovani, quasi narrando la storia del cammino di fede da loro fatto in questi anni: una storia che è stata «scoperta» d’un dono ricevuto e itinerario per viverlo, trasmetterlo ad altri e incorporarlo in valori di vita e di civiltà.

In questi anni – negli incontri riservati ai giovani nella Visita Pastorale e nel cammino tra l’una e l’altra «Festa» – un numero crescente di loro ha ascoltato l’annunzio del Vangelo, si è incontrato con l’adorabile persona di Gesù, il Signore, gli ha aperto la vita e ha intuito la bellezza di donare il Vangelo al fratelli.

Come questo sia potuto accadere, in una stagione cosi piena di ben altri richiami, rimane per tutti oggetto di stupore. 

 

77. Partendo dal Battesimo i giovani si sono sforzati di comprendere, camminando e vivendo, il dono della filiazione divina: figli di Dio nel Figlio Gesù, da Lui imparando l’amore obbediente al Padre e il servizio dei fratelli. È stata la rivelazione della chiamata al «discepolato» (alla scuola di Gesù) dentro la comunità del discepoli e del dono del Vangelo come «libro di vita». 

 

78. È stata poi la volta della riscoperta del dono dello Spirito di Gesù, effuso in noi nella Cresima: quello Spirito che, facendoci discepoli «nel cuore», ci fa Chiesa, «corpo» di Cristo e sua memoria vivente. I giovani hanno cosi compreso la Chiesa come l’ambito di vita (un luogo, un tempo, una cultura) in cui il cristiano, seguendo il Signore, cresce sotto l’azione dello Spirito, e scrive nella esistenza quotidiana il suo capitolo degli Atti degli Apostoli, a compimento del mistero di Cristo (cf. 2Cor 3,2.3; Col 1,24).

Hanno scoperto che il dono di essere «in Cristo» figli di Dio si realizza in una comunione di fratelli raccolta in un luogo e intorno a un successore degli Apostoli, compaginata dall’amore di Dio, effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito: un amore che non ci chiude in noi stessi, ma ci «invia» e ci pone al servizio della storia degli uomini, perché essa sia secondo il progetto di Dio. Come è avvenuto per Gesù. 

 

79. Infine nel dono dell’Eucaristia, approdo del cammino di iniziazione e vertice reale del nostro essere «in Cristo», fonte costante della vita della Chiesa, hanno scoperto non solo la pienezza dell’incontro personale ed ecclesiale col Signore Gesù, nella partecipazione piena al suo mistero, ma anche la bellezza dell’essere testimoni viventi del Risorto: nel dono gratuito di se stessi agli altri, in obbedienza al Padre, ciascuno secondo la propria vocazione personale. Hanno così ricuperato la tematica del martirio – indissociabile dal Battesimo, dallo Spirito e dall’Eucaristia – inteso come impegno a rendere Cristo presente nella vita in mezzo alla storia degli uomini: nella lotta quotidiana e nella prova proprie degli «ultimi tempi». 

 

80. In questo modo la grazia della «vita in Cristo» ricevuta nei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana si è come dischiusa allo spirito dei giovani della nostra Chiesa e li ha condotti non solo all’incontro con Dio in Cristo, ma anche all’incontro con tutti gli uomini, fratelli di fede e non credenti, in un impegno di comunione che ci fa solidali con tutti nel Signore crocifisso e risorto, e ci inserisce in una circolazione di dono e di amore, di gratuità e di perdono. A partire da questo mistero di comunione con tutti gli uomini hanno anche riscoperto, in una nuova ricchezza di senso, i valori della pace, della giustizia, della solidarietà universale in particolare coi più poveri, della salvaguardia della natura, ecc. E insieme hanno preso coscienza dell’offesa radicale a Dio, che è intrinseca ad ogni offesa fatta all’uomo e al creato. 

 

81. In una parola: la riscoperta della grazia dell’Iniziazione Cristiana ha portato i giovani della nostra Diocesi all’incontro personale con Cristo e a capire che «vivere» per un cristiano è «vivere in Lui» e nella Chiesa, suo «corpo»; li ha portati all’incontro col Vangelo, come «manuale del discepolo» e agli Atti degli Apostoli come libro incompiuto, da completarsi scrivendo ciascuno il proprio capitolo, sotto l’azione dello Spirito Santo, all’appropriazione degli Atti dei martiri come album di famiglia che esprime l’identità battesimale del cristiano e della Chiesa di ieri e di oggi; e infine alla percezione di fede che la storia del proprio territorio è «spazio» dove vivere «la vita in Cristo», incorporandola in termini di vita quotidiana, perché, attraverso noi, quella storia è chiamata da Dio ad essere «Historia Salutis».

Tutto questo ha portato i giovani della nostra Chiesa a intuire e a sperimentare l’unità vitale dell’esistenza cristiana: unità fra anima e corpo, fra dimensione personale ed ecclesiale, fra uomo, natura e creato, fra noi e i fratelli, fra vita spirituale e vita quotidiana «profana», fra preghiera, scuola, lavoro e tempo libero, fra azione ecclesiale e impegno sociale, vita in parrocchia e in gruppo e inserzione nella Chiesa locale.

Li ha portati a percepire il loro rapporto di fede col Vescovo e col Successore di Pietro come costitutivo essenziale di ogni cammino personale di fede, ecc. ecc. 

 

82. Infine l’Anno Mariano li ha dischiusi alla comprensione del posto di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa: Maria, madre del Signore, immagine della Chiesa e profezia di ciò che clascuno deve diventare, discepola esemplare che segna la strada ad ogni cristiano, mentre intercede per noi. 

 

83. Lo sforzo mistagogico e pedagogico di questi anni è stato quello di proporre un itinerario di fede nel quale il mistero del Cristo ricevuto nei Sacramenti, sul tessuto dell’Anno Liturgico, diventasse esperienza di vita: «abbiate in voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesù» (Fil 2,5).

La scelta delle feste dei misteri del Signore (Ascensione, Pentecoste ecc.) come momento forte per le «consegne» degli impegni annuali, ha inteso evidenziare l’importanza dell’Anno liturgico come itinerario di fede primario per ogni cristiano: un cammino vitale che si svolge ogni anno in crescendo, con una assunzione sempre più totale della nostra vita da parte della grazia trasformante dei misteri di Cristo, che genera e porta ogni nostro impegno di libertà e di responsabilità. 

 

84. Lo sforzo di mandare a fusione nell’esistenza di tutti i giorni, ecclesiale e civile, la «vita in Cristo», la preoccupazione della «sintesi vitale» è stato l’assillo costante di tutto il cammino mistagogico.

Proprio per questo è stato accompagnato con gesti, personali e collettivi, quali: l’animazione di una giornata di sensibilizzazione sulla droga, la giornata di solidarietà dedicata a quei problemi che rendono disagiata e precaria la situazione di tanti giovani, la partecipazione all’impegno per la pace, il generoso contributo alla costruzione d’una scuola secondaria nella missione diocesana di Ishiara per la promozione umana dei giovani coetanei di quel Paese, la proposta del volontariato e del servizio civile, l’impegno a favore degli anziani, dei disabili ecc. ecc. 

 

85. Compiuto questo cammino – e ora narrandolo – ci si rende conto quale dono sia stato dato alla nostra Chiesa. Il mistero dell’Annunciazione si è compiuto anche fra noi: «grandi cose ha fatto per noi il Signore; santo è il suo nome» (Lc 1,49). Narrare quanto la grazia del Vangelo è andata rivelando ai giovani in questi anni è benedire e ringraziare.

c) La proposta d’un progetto educativo

86. Un progetto da far crescere.

Volendo riproporre a tutti i giovani della nostra Chiesa un itinerario di fede sulla base sacramentale della Iniziazione Cristiana – e ritenendo di non poter fare un’altra proposta che valga per tutta la vita – ci si rende conto come esso debba articolarsi per fasce di età, per rapportarsi puntualmente alla condizione di vita dei giovani stessi. Si sono cosi individuati tre momenti: l’immediato dopo cresima, la prima giovinezza, la giovinezza matura, quale accompagnamento verso la pienezza dell’età adulta.

Da parte mia mi limiterò a delineare soltanto i tratti essenzialissimi, per darne l’immagine, lasciando ai responsabili diocesani e parrocchiali, agli animatori, ai giovani stessi il compito creativo di dar corpo a quanto andrò dicendo, indicando le linee di sviluppo della grazia nei dinamismi vitali della crescita. 

 

87. L’immediato dopo-Cresima. È uno dei passaggi più delicati nella vita di un giovane e più problematici nella nostra pastorale: va pensato in stretta continuità col cammino di iniziazione che lo precede e lo deve preparare; va vissuto in un contesto comunitario, ricco di valori ecclesiali e umani, in coerenza con le esigenze dell’età del «cresimato»; deve avvalersi dell’accompagnamento di animatori che siano forte riferimento nell’amicizia e nell’esemplarità evangelica. L’impegno mistagogico (di svolgimento della grazia dell’iniziazione e di «fusione» con la vita, perché la «divinizzi» o la «cristifichi») deve coniugarsi con l’attenzione ai problemi propri dell’età del giovane, al suo incontro nuovo e creativo con se stesso e con l’ambiente, perché queste esperienze siano penetrate dalla grazia battesimale.

L’accompagnamento educativo riprende quindi e svolge in termini di esperienza personale concreta la tematica globale della Iniziazione Cristiana come incontro e rapporto personale con Cristo nella comunità cristiana, da investirsi nella vita e approda al segno della «redditio Symboli», cioè alla professione pubblica e solenne della fede dinanzi alla comunità cristiana, dichiarando l’impegno a darne ragione nell’esistenza quotidiana (discepolato). 

 

88. La prima giovinezza (dalla «redditio Symboli» ai 20 anni circa). È il cammino del «discepolo» che, nella grazia dell’iniziazione Cristiana, con l’aiuto della Parola di Dio, riscopre «la vita in Cristo» come l’«essere Chiesa», memoria viva del Signore nella storia degli uomini; scopre quindi la testimonianza di vita in mezzo ai fratelli («mi sarete testimoni», dice il Risorto): una esperienza faticosa, sostenuta dalla preghiera e dai sacramenti.

Questo secondo tratto approda alla «professione di servizio», propria del vero discepolo d’un Maestro, «venuto per servire e non per essere servito» (cf. Mt 20,28), dando in questo modo una interpretazione cristiana anche alle decisioni per il futuro della propria vita. È il momento delle scelte vocazionali (nel Matrimonio, nella consacrazione ministeriale e/o verginale, nella professione ecc.), fatte guardando a Dio, sapendo che Lui propone a ciascuno esattamente e soltanto ciò che lo realizza nella comunione d’una solidarietà più grande. Solo così la scelta è cristiana.

In tal modo, la sintesi fra «vita in Cristo» e vita quotidiana, fra dimensione individuale e apertura comunionale alla Chiesa e al mondo, diventa sempre più profonda e pervadente. Così pure la scelta vocazionale, lo studio, la professione, il lavoro, il servizio militare o quello civile, la maturazione della propria affettività, il fidanzamento o la consacrazione, la vita in famiglia, in parrocchia e nell’ambiente di scuola, lavoro, tempo libero, ecc. sono momenti di fedeltà al Vangelo vissuta con crescente consapevolezza. 

 

89. La giovinezza matura (oltre i vent’anni). È la stagione della «missione»: in essa il giovane percepisce nella fede di dover portare a compimento la missione di Cristo, per la salvezza del mondo. Verranno messi a tema della riflessione e dell’esperienza vitale la chiamata a servire la Chiesa (esercitando una vera e propria ministerialità) e a tradurre la fede in termini di impegno umano, familiare e sociale, e di civiltà: facendosi anima del mondo, lievitandone, con le energie della Risurrezione, i valori creaturali (purificandoli, promuovendoli e maturandoli). Verranno messi a tema anche la solidarietà evangelica coi fratelli, specie i più bisognosi e lontani, e il dovere di dare il proprio contributo alla costruzione della città dell’uomo, acquisendo le specifiche conoscenze e le doverose competenze.

È la «missione nella storia», quali protagonisti ormai maturi dell’Historia Salutis, sotto l’azione dello Spirito Santo.

Approderà al «Mandato della partenza» – che è una Pentecoste – per fare della vita una missione e un dono, come è proprio di ogni cristiano che voglia vivere la grazia del Battesimo: «Andate in tutto il mondo e ad ogni creatura – uomo, cosa e situazione – proclamate la lieta notizia che Dio in Cristo vuole tutto e tutti salvi» (cf. Mc 16,15-20). 

 

90. Evidentemente questi tratti di strada non vanno intesi rigidamente, come fossero giustapposti; gli stessi contenuti di fede procedono da un nucleo che avanza a spirale, per cerchi concentrici. In tal modo la grazia dell’Iniziazione penetra sempre più l’esistenza, divinizzandola e cristificandola.

Nel condurre il cammino occorre chiarezza e fermezza nel presentare i diversi tratti di strada ed insieme duttilità e vigilanza, per apportare i necessari aggiustamenti.

Questo progetto educativo si propone anche:

– di raccogliere i giovani in gruppi «aperti», in modo che i più giovani si sentano sollecitati a passare al tratto successivo di strada;

– di caratterizzare ogni intervento formativo con l’apertura missionaria verso il mondo giovanile, perché solo così un impegno formativo può chiamarsi vero discepolato di Gesù.

d) Tre attenzioni da tenere presenti
1 – Educazione dell’affettività

91. Questo cammino in tutte le sue fasi deve essere accompagnato da un impegno costante e graduale di educazione dell’affettività del ragazzo o del giovane, perché giungano all’amore vero, da viversi con equilibrio e generosità nel matrimonio o nella verginità, ciascuno secondo la propria vocazione.

Si tratta di un compito assolutamente non eludibile, in un contesto culturale ormai totalmente disomogeneo e disorientante rispetto alla concezione cristiana della sessualità e dell’amore. Affidare questo problema alla casualità e allo spontaneismo, significherebbe mancare a uno degli appuntamenti più decisivi per la formazione dei giovani e dei ragazzi di oggi. Bisogna quindi positivamente educare: non farlo sarebbe dimissione grave e permetterebbe che vengano recepiti per buoni messaggi che buoni non sono.

Questo impegno va condotto nella collaborazione di tutte le componenti educative: innanzitutto della famiglia, poi della comunità ecclesiale nella persona dei suoi educatori (sacerdoti, catechisti, animatori, ecc.), dei gruppi ed associazioni, ciascuno secondo la propria competenza.

2 – La catechesi momento fondante

92. Nel cammino di crescita del giovane, la Catechesi costituisce un momento fondante, strutturante e qualificante il processo educativo. Non esaustivo, quindi, a livello formativo, ma necessario.

Nel giovane infatti si afferma con urgenza crescente l’esigenza di darsi ragione della propria fede e di averne intelligenza: di esprimerla, di confrontarla con i problemi della vita, di difenderla dall’accusa di irrazionalismo o di evasione dalla realtà, in un raffronto coraggioso e motivato con persone ed ambienti che la ignorano e la combattono.

Mantenere un giovane a livelli di solo entusiasmo, senza maturare in lui la capacità di riflettere sulle verità di fede e possederle con umanità sempre più piena, è mortificare la sua dignità personale, è impedirgli di crescere, è esporlo all’incapacità di cogliere la verità anche nella fatica e nell’impegno quotidiani.

Le scelte morali di un giovane, lo studio, il lavoro, la partecipazione sociale, ecc. devono sempre essere sostenuti da motivazioni di fede proporzionate all’età e alla qualità dell’impegno, e perciò protese a crescere continuamente (cf. 1Pt 3,15).

3 – Educare alla pari dignità «uomo-donna»

93. Nel contesto globale del processo educativo d’una personalità cristiana va affrontato il problema, oggi anche culturalmente urgente, del riconoscimento, reale e non solo concettuale, della pari dignità e dei pari diritti dell’uomo e della donna, della loro singolarità e reciprocità. Per la maturazione equilibrata di questo problema, non c’è momento migliore di quello educativo, nel quale si costruisce la sintesi dei valori che forgiano la personalità del giovane e della giovane.

e) Educazione alla fede, alla preghiera, alla risposta vocazionale

94. Mi preme sottolineare alcuni aspetti particolari dell’impegno educativo dei giovani nella condizione attuale:

1 – Fondamentale è l’educazione alla fede

Fondamentale è l’educazione alla fede, cioè alla consegna di sé, libera e totale, all’adorabile persona di Gesù, accolto nella sua assoluta singolarità di vero uomo e di vero Figlio di Dio. In Lui noi siamo realmente partecipi della vita stessa di Dio, cioè della comunione trinitaria.

L’incontro personale con Cristo, radicato nella grazia dei sacramenti e sostenuto dal contatto con la Parola di Dio, rinnovato nella fedeltà di ogni giorno, non è mai da scontarsi, va sempre sostenuto e verificato. 

 

95. In questa educazione alla fede l’esperienza della preghiera è decisiva. I Vangeli ci documentano l’influsso esercitato sui discepoli dal Gesù «orante», attentamente osservato nella sua preghiera comunitaria e personale, in luoghi e tempi ben precisi: una preghiera talora più intensa e prolungata, talaltra sofferta e drammaticamente gridata. I discepoli vedendo come Gesù pregava il Padre (Lc 11,1ss), non solo hanno imparato a pregare – «Maestro, insegnaci a pregare» –, ma sono stati introdotti sempre più nella singolarità assolutamente unica del suo mistero personale.

Per questo l’educazione alla preghiera rappresenta un momento decisivo nella formazione alla fede in Gesù. Certo «un momento» dell’educazione più globale alla «vita filiale», mediante l’osservanza dei comandamenti, nella sequela di Gesù e nella testimonianza. Una preghiera quindi che non eluda né l’impegno etico, né la vita ecclesiale, né l’assunzione delle quotidiane responsabilità proprie di ogni uomo e donna giovani (educazione del temperamento, formazione alla castità, doveri di scuola e di lavoro, rapporti con la famiglia, vita sociale ed ecclesiale ecc. ecc.). 

 

96. Questo è il senso delle «Scuole di preghiera» (com’era «scuola» per i discepoli la consuetudine di vita con Gesù) da me voluta a Mestre (S. Girolamo) e a Venezia (Basilica di S. Marco): un «servizio» ancora molto piccolo, ma reale e non convenzionale, per quei giovani e non giovani che, pregando, desiderano imparare a pregare. Un umile inizio che attende di essere fatto crescere. Un servizio anche alle parrocchie che non potrebbero fare da sole o ritengono che anche «il pregare insieme» ad altri fratelli di fede possa sostenere nella fatica del pregare e del vivere in fedeltà al vangelo. L’augurio è che tali esperienze si moltiplichino dov’è possibile, però come «scuola», guardando da vicino come pregava Gesù; che coi giovani preghino anche i papà e le mamme, gli adulti e i loro padri nella fede e, finalmente, che le diverse esperienze siano in qualche modo ecclesialmente collegate, per evitare il rischio di «correre invano» (Gal 2,2). Non basta pregare («Non chi dice: Signore, Signore…», Mt 7,21): bisogna pregare bene e questo lo garantisce solo la Chiesa.

2 – L’esperienza degli esercizi spirituali

97. Sempre importante e, talora, decisiva nel cammino spirituale di un giovane – ma non soltanto dei giovani – è anche l’esperienza degli Esercizi spirituali. Essi si propongono di consentire, a chi li accoglie come dono, la grazia «dello stare in disparte con Gesù, în un luogo solitario, per riposarsi un po’ con lui» (cf. Mc 6,31; Gv 13,25).

Gli Esercizi organizzati dalla Diocesi svolgono nient’altro che il progetto educativo fondato sulla Iniziazione Cristiana, la vita domenicale e pasquale, che si concretizza nella sequela di Cristo sulle strade degli uomini, sostenuta dai Sacramenti e guidata dalla Parola di Dio, che in questa lettera sono andato esponendo ed articolando.

3 – Saper accogliere la chiamata del Signore

98. Essenziale, infine, nell’itinerario formativo dei giovani è il richiamo dolce e forte a cogliere il progetto di vita che Dio ha su ciascuno dei suoi figli.

L’attenzione vocazionale oggi è particolarmente urgente, vivendo in un ambiente in cui è prepotente la pressione sociale verso concezioni della vita chiuse nel soggettivismo, spesso solo utilitaristico e ripiegato sul tornaconto individuale.

La vita come dono di sé e servizio al Vangelo e alla comunità degli uomini – secondo la parola del Signore: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35) – deve essere proposta con la libertà ed il coraggio che ebbe Gesù con il giovane ricco e poi con gli apostoli sconcertati per la sua franchezza (cf. Mc 10,17ss).

Nella nostra Diocesi, per la responsabilità che noi adulti – genitori, sacerdoti, educatori – abbiamo nei confronti dell’intera comunità, ai giovani – ragazzi e ragazze - va presentato, con discrezione e chiarezza, il bisogno grave ed urgente di vocazioni sacerdotali e religiose.

Non farlo sarebbe grave mancanza verso i giovani stessi e la nostra Chiesa. 

 

99. Tutto questo (educazione alla preghiera, esperienza degli Esercizi spirituali, proposta vocazionale) va inteso non in modo parcellare, ma integrato nel globale progetto educativo diocesano, da perseguirsi da tutte le realtà pastorali che operano in mezzo ai giovani.

f) Compito dell’Ufficio Diocesano

100.  È decisivo per il futuro dei giovani della nostra terra che tutti «camminiamo insieme» e ci muoviamo con un progetto unitario. A servizio di tale progetto la Diocesi ha istituito l’«Ufficio diocesano per la promozione e il coordinamento della pastorale giovanile».

Esso ha lo scopo di aiutare a tradurre in cammini operativi il progetto educativo elaborato sotto la guida del Vescovo ed esprimere inoltre la linea che deve essere seguita da tutti. Come ogni Ufficio diocesano, traccia la strada, lasciando larghi margini di libertà, perché l’attuazione si arricchisca della varietà e molteplicità degli apporti personali locali e del gruppi.

g) Importanza di un cammino diocesano e vicariale

101. Il Patriarca, interpretando la qualità ecclesiale della vita cristiana, le concrete esigenze della nostra Diocesi e la stessa mentalità giovanile, promuove un cammino pastorale che abbia momenti di comunione sia a livello vicariale che diocesano. L’esperienza di questi anni ha dimostrato il valore e l’efficacia maturante di tale proposta. L’incontrarsi ed il convenire ha fatto crescere nei giovani il senso di essere Chiesa, favorendone l’esperienza viva; li ha identificati con la loro Chiesa particolare e col suo territorio, li ha fatti riconoscere nel loro Vescovo e fra di loro; le difficoltà e le riuscite degli uni hanno stimolato la solidarietà e l’emulazione degli altri; infine li ha iniziati ad una autentica sensibilità sociale nei confronti dei problemi del territorio e del mondo, sentito come spazio dove mandare a concretezza la fede. Alcune realtà, che non avevano nessuna esperienza di pastorale giovanile o di vita di gruppo e ignoravano cosa fosse la loro Diocesi, avendo conosciuto altri giovani ed avendo verificato la possibilità di crescere insieme ad altri in fraterna solidarietà, hanno dato inizio ad un cammino educativo.

Anche questa è una linea da seguire senza incertezze.

h) La formazione degli animatori

102. Ancora una volta emerge l’importanza decisiva delle guide spirituali dei giovani, come anche degli animatori dei gruppi e delle realtà giovanili. Senza guide e senza animatori, non ci sarà mai un vero cammino di crescita del giovani. Con la scelta pastorale di far leva sugli animatori laici, non soltanto si provvede al giovani, ma si faranno emergere e si prepareranno delle autentiche e forti personalità cristiane, capaci di formare l’intelaiatura ministeriale d’una Chiesa adulta nella fede.

i) La presenza del presbitero tra i giovani

103. Tutto questo non potrà essere realizzato senza la presenza di un «presbitero» che, credendo lui stesso al dono ricevuto mediante l’imposizione delle mani (2Tm 1,6), guidi il giovane nel suo cammino di fede quale «discepolo del Signore», aiutandolo a crescere nella libertà evangelica, nella responsabilità e nella capacità di discernimento. Compito difficile, che esige maturità, conoscenza ed esperienza della vita spirituale, forza nella proposta e continuità nell’impegno a fronte del richiamo travolgente e deresponsabilizzante della cultura di massa.

I giovani hanno bisogno di sacerdoti che siano uomini di fede, loro stessi persone «spirituali», che uniscano a una fine sensibilità evangelica la capacità di cogliere e discernere i segni di Dio nella storia, ciò che viene da Lui e ciò che lo contraddice; di uomini capaci di amare le persone senza volerle possedere, che facciano crescere persone libere e autonome, dotate di giudizio critico e docili alla voce del «maestro interiore» che parla sempre al cuore in ascolto.

Hanno bisogno di educatori pazienti, che mirino[2] a formare personalità forti per i tempi difficili che ci attendono: personalità intrise di senso evangelico, in un momento in cui il cristiano è chiamato a fare sintesi nuove e coraggiose, per le quali l’esperienza del passato, cosi diverso dall’oggi, non sempre offre riferimenti immediatamente agibili: penso all’austerità nell’uso dei beni, senza la quale[3] ogni discorso di sequela evangelica è illusorio; penso alla solidarietà coi più poveri e al rispetto della natura, assolutamente non compossibili con il consumismo invadente; penso all’impegno stabile nella dedizione al Signore e al fratelli in una cultura dell’effimero, del provvisorio e dell’esperienzialismo com’è la nostra; penso infine al «governo» spirituale della propria affettività e della propria corporeità, secondo l’etica cristiana, in un costume di deresponsabilizzazione e, talora, di banalizzazione della sessualità ecc.

I giovani hanno bisogno di sacerdoti che, sforzandosi di vivere loro stessi ciò che propongono, abbiano il coraggio delle proposte radicali offerte a tutti dal Vangelo, perché ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio (cf. Mc 10,27).

Hanno infine bisogno di sacerdoti che amino la Chiesa e i suoi pastori: senza fuorvianti culti della personalità, ma col cuore con cui amavano la Chiesa San Francesco, Santa Caterina, Piergiorgio Frassati e Vittorio Bachelet ecc. Hanno bisogno di guide che amino il loro sacerdozio, il loro vescovo e i loro confratelli, e dimostrino stima e gradimento di appartenere alla loro Chiesa.

Senza amore per la Chiesa e i suoi pastori, senza identificazione con i suoi obiettivi, senza passione per i «lontani» ecc., oggi, un giovane non cresce. Così è stato per gli apostoli alla scuola di Gesù. Così è sempre. Così è soprattutto oggi.  

 

PER LA RIFLESSIONE E LA VERIFICA

104. 1. La Diocesi, sotto la guida del suo Vescovo che è costitutivamente «il mistagogo» del popolo di Dio, sta dandosi un progetto educativo basato sulla Iniziazione Cristiana. Esso, proprio perché è fondamentale, è anche unificante: unico è il progetto per tutte le stagioni della vita (cresce identico a cerchi sempre più larghi), unico è il progetto per tutti i cristiani. Infatti è l’Iniziazione che ci fa cristiani, ci fa Chiesa e «uomini nuovi» nel mondo.

Interroghiamoci:

La parrocchia e il vicariato hanno colto e accolto questo progetto?

Come lo hanno proposto ai giovani?

Come si è camminato in questi anni (dalla prima alla seconda Festa dei giovani)?

Come si potrebbe fare perché il cammino di questi anni venga portato avanti?

 

2. È cresciuto in questi anni «il vicariato giovanile»? quali difficoltà si sono incontrate e quali attività si fanno a livello vicariale?

 

3. Quali esperienze a livello di formazione alla fede?

C’è una formazione all’ascolto della Parola di Dio, alla vita liturgico-sacramentale e alla preghiera?

Con quale impegno si coniugano la formazione alla preghiera con una prassi morale cristiana?

Entrano nei programmi personali di vita i Ritiri e gli Esercizi Spirituali ecc.?

 

4. Si fa una catechesi per i giovani? Con quali modalità: organica, occasionale ecc.? Si fa catechesi solo nei gruppi o anche per tutti i giovani? C’è qualche iniziativa per accostare i giovani che non praticano?

 

5. Quali iniziative si fanno per educare i giovani all’austerità (contro il consumismo dominante), alla solidarietà soprattutto con chi ha meno, e al volontariato?

 

6. Quale valorizzazione delle iniziative parrocchiali, vicariali e zonali per la formazione degli animatori?

 

7. Ci si sforzi di fare un quadro della situazione «vocazionale» della parrocchia e del Vicariato.

Qual è lo «status» attuale?

Da quando non ci sono ordinazioni sacerdotali e vocazioni religiose o missionarie?

Quali potrebbero essere le ragioni?

Cosa si fa in parrocchia e in vicariato per promuovere nei giovani, nelle famiglie e nell’intera comunità una sensibilità più consapevole e responsabile nei confronti di questo problema?

PARTE TERZA
Una Chiesa segno di speranza:
«Sui suoi rami si poseranno gli uccelli del cielo» 

105. Giunti a questo punto la struttura del discorso ci porterebbe a concludere. Riflettendo però sulla prima Visita Pastorale e in procinto di iniziare la seconda, mi sono letto e riletto il discorso di Paolo agli anziani di Efeso, convocati a Mileto (At 20,17-36) e ho guardato dinanzi a me, come fece Gesù, riposandosi al pozzo di Sicar (Gv 4,6.35). Che cosa ho visto, meditando sulla situazione della nostra Chiesa? Campi immensi aperti al Vangelo, uccelli del cielo che cercano un ramo su cui posarsi: uomini e donne che, come il macedone apparso a Paolo, dicono: «Venite e aiutateci» (At 16,9).

Mi sono allora chiesto: cosa vuole il Signore da noi, perché siamo una Chiesa «sua sposa» e «serva del Vangelo» come Lui ci vuole?

1. Urgente chiamata alla santità

106. Non c’è dubbio: il Signore ci chiama innanzitutto a un profondo rinnovamento spirituale in una sequela evangelica più radicale. Non dobbiamo mai dimenticare che, in forza del Battesimo, noi siamo «« santi» e «santa» è la Chiesa, nonostante i nostri peccati. La chiamata alla fedeltà evangelica grida quindi dalle profondità del Battesimo e della Chiesa a cui apparteniamo. La Pentecoste, prima di essere un fatto apostolico e missionario, è grazia di santità, cioè di conversione e partecipazione al mistero di Cristo. Ne vengono alcune consi- derazioni:

a) Ascolto della parola di Dio

107. La conversione e l’accoglienza della «vita in Cristo» sono frutto dell’ascolto della Parola di Dio (At 2,37ss). Essa è principio di rinnovamento della Chiesa perché presenza santificante del Risorto: è Lui che ci parla nelle Scritture, soprattutto nella proclamazione liturgica e nella predicazione; ci parla e ci fa grazia.

Ascoltare la Parola di Dio e acconsentirvi è essere salvati, introdotti nel mistero della santità: della «vita in Cristo» e del discepolato. La Parola di Dio è «viva» (Eb 4,12) e non può mai essere trattata come «cosa» (soltanto come oggetto di studio o strumento di apostolato): è sempre voce viva che chiama a un rapporto personale con Dio in Cristo, invito alla conversione e alla sequela e grazia per realizzarla.

Con la Parola ci viene donato lo Spirito, perché siamo introdotti nella verità tutta intera e siamo capaci di fondere la Parola nell’esistenza quotidiana, perché diventi «Historia Salutis» e la nostra vita diventi effettiva «vita in Cristo», essa stessa «vangelo» vivente.

È necessario perciò che noi, ancora più fiduciosamente, aiutiamo i battezzati ad accostarsi alla Parola di Dio: è un momento insurrogabile di quella Iniziazione Cristiana che accompagna tutta la vita, di quel «primo annuncio» di cui abbiamo continuamente bisogno per essere scossi dalle durezze del nostro cuore per una conversione sempre più totale al mistero di «Cristo in noi».

Per questo auspico che si moltiplichino ovunque le «Scuole della Parola», o «Scuole bibliche». Non mai dimenticando che la Parola di Dio è «presenza»; anche quando ne faccio oggetto di studio, non la domino, ma devo sempre lasciarmi da essa dominare; la Parola di Dio va studiata nella fede.

L’educazione alla fede personale, alla preghiera, la catechesi e ogni attività ecclesiale devono sempre essere un momento di «discepolato» – «alla scuola di Gesù» – e quindi non possono mai prescindere dall’ascolto della Parola di Dio.

b) Docilità allo Spirito

108. Questo esige totale disponibilità e sensibilità allo Spirito Santo che opera in noi, per costruirci come corpo di Cristo e sua memoria viva, come persone e come Chiesa: basta osservare gli Atti degli Apostoli per notare quanto egli sia all’opera nella sua Chiesa (Gv 14,26; At 1,8; 2; 4,31; 10,44ss). È lo Spirito che ci introduce nella comprensione della Parola di Gesù e, infondendo nel nostro cuore la grazia di praticarla, ci fa sua memoria viva e testimoni del Risorto (cf. Gv 14-16; Rm 8; Ef 5,1 ecc.).

c) Comunione ecclesiale

109. Condizione perché lo Spirito operi in noi è «la comunione» di cui parla Gesù nella sua ultima preghiera al Padre (Gv 17). Una comunione che dai pastori scende a tutti i fratelli e le sorelle, come dice il Salmo 132. La vita in Cristo consiste nella comunione di tutti col Capo e con le membra: col Vescovo, fratello ma anche «segno» di Cristo-capo, e con tutte le «giunture» del Corpo.

Una comunione che diventi visibile nella «comunità» familiare ed ecclesiale e, di conseguenza, nel «camminare insieme» intorno al Vescovo, al suo discernimento pastorale e alla sua guida, e si realizzi nell’accoglienza, nel perdono, nell’esercizio effettivo della carità fraterna.

Senza comunione tutto avvizzisce e muore nella Chiesa, come il tralcio staccato dalla vite (cf. Gv 15,4ss; 1Cor 13).

2. Una comunità formativa, perché vuole essere missionaria

a) I battezzati laici: ricchezza missionaria della Chiesa

110. Come è accaduto agli inizi della predicazione del Vangelo, il Signore sta conducendo anche noi, chiamati a vivere la fede, in una storia radicalmente secolarizzata, a scoprire la vocazione missionaria propria di ogni battezzato laico, con la quale egli è in grado di far brillare la luce del Vangelo, consegnato alla sua Chiesa, là dove il Signore lo ha chiamato a vivere e a operare (cf. Is 9,1; Ef 5,8; Fil 2,15; secondo l’antica tradizione battesimale il cristiano è un «illuminato» da Cristo: Ef 5,14). Questo è il tesoro nascosto nel terreno delle nostre comunità cristiane ed è la loro speranza: è l’insegnamento della «Christifideles laici» di Giovanni Paolo II.

Comprendere i segni dei tempi significa oggi attivare queste «luci nel mondo» (Ef 1,15), che sono i battezzati sparsi nella storia, perché Cristo, luce vera, possa illuminare tutti gli uomini e le loro situazioni.

Come lo scriba saggio, anche noi siamo invitati a trarre dall’immutabile tesoro di fede che ci è stato consegnato, cose vecchie, che sono nuove…

La nostra Chiesa deve prendere coscienza di questa ricchezza e renderla operante, raccogliendola nella «sapienza» di un progetto missionario organico. 

 

111. Perché questo avvenga la nostra Chiesa, nella sua globalità, deve strutturarsi come «scuola formativa permanente» per presbiteri e laici: una scuola di «discepolato» innanzitutto, sull’esempio di quanto fece Gesù, che preparò il futuro della Chiesa, formando i discepoli e gli apostoli.

Una Chiesa quindi globalmente dedita alla formazione e alla crescita cristiana delle persone: dei presbiteri, dei catechisti, degli animatori, in ogni settore dell’agire ecclesiale ed umano, perché, vivendo il Battesimo in tutte le sue esigenze più radicali, sentiamo di essere «mandati» nella storia degli uomini, come Gesù era mandato dal Padre: convinti che proprio qui sta il futuro della missione.

Una Chiesa cosciente che ogni iniziativa – dalle diverse scuole diocesane ai patronati – deve sempre essere attraversata da una prevalente preoccupazione educativa e missionaria, soprattutto nei confronti dei responsabili e animatori: un’attività apostolica che sedimenti formazione, che generi discepolato libero e responsabile, ministerialità e missionarietà per la «plantatio Ecclesiae» e la sua crescita e perché la città dell’uomo sia secondo il progetto di Dio.

Una comunità ecclesiale è «ben riuscita» non quando fa molte cose, ma quando, attenta all’azione dello Spirito, che dispensa doni e ministeri, fa crescere molte persone spiritualmente autonome e responsabili, capaci di servire il Vangelo insieme ai loro pastori e di aprire la storia degli uomini al Regno.

b) La parrocchia luogo formativo

112. Tale impegno per la crescita dei battezzati laici in particolare, trova normalmente il suo terreno di realizzazione nella vita comunitaria della parrocchia.

Questa affermazione non intende assolutizzare la parrocchia, anche se comprovata da secoli di esperienza; né, ancor meno, intende escludere come luogo educativo per i battezzati laici altre realtà – come associazioni, gruppi, movimenti, ecc. – che lo Spirito via via suscita, come sua risposta alle domande di salvezza emergenti: realtà alle quali la parrocchia deve anzi aprirsi con generosa accoglienza ed illuminato discernimento (cf. ChL n. 29).

Intende solo affermare che nella nostra realtà territoriale, in coerenza peraltro con la nostra tradizione, la parrocchia rimane il fondamentale luogo di grazia dove alimentare la fede. A una condizione: che essa riscopra la sua prioritaria funzione educativa, formativa e missionaria e la renda effettivamente operante (cf. RDPV [1987] 806-810; vedi anche la Nota Pastorale del 31.08.1986, nella RDPV [1986] 667-687). 

 

113. Vorrei ora accennare ai doni di santità fondamentali che la parrocchia offre ad ogni battezzato. Primo fra tutti «Il giorno del Signore», pasqua settimanale della Chiesa: offre ai credenti la mensa della Parola e dell’Eucaristia; il ministero ordinato, la parola autorevole garantita dalla successione apostolica e la guida pastorale; e poi la grazia grande della comunità dei fratelli. La domenica è segno e anticipazione dell’amore e della comunione a cui siamo chiamati. Non si può vivere da cristiani senza la grazia della domenica: essa è il viatico del pellegrinaggio settimanale, fermento pasquale che trasforma l’uomo e la storia con la sua energia divina, è anche presentimento dell’Alleluia definitivo. È quindi fonte di santità e, in qualche modo, ne contiene l’immagine e i doni. 

 

114. L’Anno liturgico: fulcrato sul «mistero pasquale», è il circolo vitale che, di domenica in domenica[4], ci introduce, ogni anno più, nel misteri del Signore, rendendocene partecipi mediante l’Eucaristia e i sacramenti, in un crescendo continuo, fino al giorno che non conoscerà tramonto (cf. n. 83).

Ritmato vitalmente dal «giorno del Signore», esso è il vero e fondamentale itinerario di fede della Chiesa e di ogni battezzato, a cui ogni altro cammino deve fare riferimento: una grazia sacramentale di unità e di comunione, che alimenta e dà senso ad ogni altra linea spirituale, ricuperandola dalle inevitabili tentazioni di appropriazione di ciò che è di tutti e di assolutizzazione di ciò che è particolare. A condizione però che la parrocchia ne promuova la comprensione e lo attivi nei suoi doni e nelle sue capacità di guida e di nutrimento, almeno per il nucleo portante della comunità stessa.

Decisiva in questo senso è la valorizzazione del «lezionario», anche feriale, guida autentica del discepolo e alimento di santità vera. 

 

115. I Sacramenti della Iniziazione Cristiana: sono i momenti in cui la comunità, quale «Ecclesia mater», genera i suoi figli con la grazia dello Spirito donata dai sacramenti e costruisce la «gente santa», il «popolo sacerdotale», la «stirpe regale» (cf. 1Pt 2,9) a cui tutto è dato, perché tutto sia riportato a Dio in Cristo. Essi sono «le ore di Dio» per la comunità, che deve esserne tutta coinvolta, non considerando quei momenti sacramentali come qualcosa che riguardi solo i bambini e i fanciulli o, tutt’al più, le loro famiglie, ma come i suoi momenti fondanti di crescita nella fede – i genitori con i figli, gli adulti con i giovani e i fanciulli – e di ricupero della grazia dell’Iniziazione Cristiana, che è «la vita in Cristo». Per questo è sempre da raccomandare, come fa il Concilio (SC n. 27) la prassi di celebrare il Battesimo durante l’Eucaristia domenicale, resistendo alla ricorrente tentazione di privatizzarlo. 

 

116. Il Sacramento della Penitenza, la seconda tavola di salvezza dopo il Battesimo: esso reintegra continuamente nella grazia battesimale e «domenicale», perduta a causa del peccato personale, e apre le porte alla partecipazione fruttuosa dell’Eucaristia, culmine e fonte della vita cristiana ed ecclesiale, ricostruendo la comunità cristiana e, alla fine, anche la comunità degli uomini, frantumata dal peccato. La parrocchia diventa così luogo e strumento di riconciliazione (Cfr. Lettera ai nuovi parroci… del 06.01.1989 nn. 34-35). 

 

117. Potremmo parlare anche del sostegno che la parrocchia offre alla famiglia, dell’aiuto che dà a ben intendere la Parola di Dio, all’esercizio della carità, alla ricerca del fratello assente o lontano ecc. ecc. Introdurrei però una trattazione sulla parrocchia, che non è negli intenti della lettera.

Va invece sottolineato che la parrocchia dona quanto ho detto a tutti, in modo semplice ed umile, nella verità del rapporto personale, soprattutto nella grazia della domenica.

Sono convinto che la più umile parrocchia e la più povera, che viva la sua grazia in comunione col vescovo nella Chiesa locale, è autentica scuola di santi: la storia del nostro Veneto ce lo dimostra. 

 

118. Esiste però il problema – più volte richiamato – se la parrocchia effettivamente sia quella realtà viva, che noi abbiamo allusivamente delineato, capace di rispondere alle esigenti richieste di vita spirituale ad essa rivolte da molti cristiani, chiamati a vivere la loro fede in situazioni spesso difficili. Il problema è serio e coinvolge la responsabilità di tutte le componenti della comunità, non solo dei sacerdoti che la guidano.

c) Pastorale d’ambiente, associazioni e movimenti

119. La valorizzazione della parrocchia – l’ho appena detto – non deve essere intesa come minore considerazione di altre realtà, quasi che la parrocchia fosse esaustiva della grazia dello Spirito e della pastorale oggi.

Di fatto non lo è: ci sono realtà e ambienti di vita (come il mondo della scuola, della cultura, del lavoro, della sanità, della comunicazione sociale e della mobilità della gente ecc. ecc.) che influiscono in maniera determinante sulle persone, la loro mentalità e i loro comportamenti.

Anche su queste strade deve essere annunziato il Vangelo. È lo spazio della pastorale d’ambiente, necessaria e complementare rispetto a quella parrocchiale. È anche lo spazio di associazioni, movimenti e gruppi, portatori di proposte spirituali e di esperienze formative, talora ricche di slancio missionario in ambienti particolari. Anche ad essi la parrocchia deve aprirsi, secondo i criteri offerti dalla «Christifideles laici», con generosa accoglienza, valorizzando tutti i doni suscitati dallo Spirito per animare la sua Chiesa.

La Chiesa infatti non ci appartiene: Dio la costruisce come corpo di Cristo mediante il suo Spirito. A noi è chiesta la collaborazione quanto più disponibile e docile possibile.

Quanto vado dicendo sulla Parrocchia va perciò inteso come pressante invito perché nessuno se ne estranei; ma tutti – persone e gruppi, coi doni che sono loro propri e la loro originalità – diano un efficace contributo alla sua vitalità.

Sono consapevole che sarebbe indebito chiedere a tutti di dissolversi nella parrocchia: si impoverirebbe la Chiesa. Sono altrettanto consapevole che anche la parrocchia ha una sua identità ed una sua «dinamica» che vanno di fatto rispettate, senza manipolazioni.

La strada non è né l’esclusione né la monopolizzazione, bensi la collaborazione, nel rispetto e nell’accoglienza, sotto la guida del parroco, segno della paternità del Vescovo e del suo discernimento pastorale intorno all’unica Eucaristia. 

 

120. All’Azione Cattolica, proprio in forza della sua identità di «singolare ministerialità laicale» della Diocesi e della parrocchia – che ha come immediato riferimento il Vescovo e come proprio impegno qualificante «servire» responsabilmente e motivatamente, da battezzati laici, i programmi pastorali della realtà territoriale in cui vive – io chiedo di mettersi a servizio delle parrocchie e della Diocesi perché gli obiettivi da me proposti vadano a compimento (Cf. Lettera ai nuovi parroci…, nn. 39-50). 

 

121. Perché l’impegno formativo dei laici sia efficace è necessario che ci sia una «razionalità» diocesana che lo guidi offrendo essenziali contenuti comuni; che lo storicizzi sulla nostra situazione; che coordini le diverse proposte: Scuole diocesane, Esercizi Spirituali, ecc.; che assuma la responsabilità di vigilare perché ogni attività pastorale provveda innanzitutto alla formazione di responsabili laici (catechisti, animatori, volontariato, ecc.).Non c’è dubbio che da queste azioni dipenda il futuro cammino della nostra Chiesa.

d) Appello ai battezzati laici

122. Battezzati laici, uomini e donne: la nostra Chiesa ha bisogno di voi, oggi come mai nella sua storia. Ha bisogno che sentiate il vostro stato di vita, la vostra professione, le componenti spazio-temporali della vostra esistenza quotidiana come grazia per voi e per il mondo e chiamata a collaborare all’opera di salvezza. Ha bisogno che vi sentiate, dovunque siete e vivete, responsabili del Vangelo ad essa consegnato, custodito dal vostro Vescovo e dai vostri presbiteri con la grazia di San Marco, e da tutti nella grazia della comunione.

Se sentiremo e vivremo questa responsabilità ecclesiale, e insieme la renderemo sapienza e progetto, non ci sarà più spazio dove la luce del Vangelo non sia accesa: «ll popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…» (Is 9,1).

Non vi chiedo «l’oro e l’argento» (At 3,6), ma che formiamo insieme la Chiesa del Signore che crede e proclama il Vangelo della salvezza: quando conveniamo per celebrare l’Eucaristia e quando ci disperdiamo sulle strade del mondo per vivere la nostra vita coi suoi rapporti e i suoi impegni, dove ci manda la grazia della nostra vocazione personale. 

 

123. Abbiamo il coraggio della novità pasquale, come lo ebbero, a loro modo, le prime comunità cristiane, secondo quanto ci attestano gli Atti degli Apostoli (2,45; 4,32.37 ecc.).

Se il Signore vi dona del tempo – perché siete già economicamente provveduti e non vi sono necessari ulteriori proventi o godete d’una congrua pensione – sappiate che la carità e l’apostolato della vostra Chiesa hanno urgente bisogno anche del vostro tempo: nelle strutture pastorali diocesane e parrocchiali, nelle attività per anziani, ammalati, per disabili o comunque bisognosi di aiuto…

Sappiate offrire a Dio un po’ di quel tempo che da Lui solo ci viene. Il volontariato è uno dei segni dello Spirito sulla Chiesa: un dono di speranza per tutti. A condizione che non sia dilettantistico, una sorta di passatempo benefico, lodevolissimo ma non sufficiente, e non sia rinuncia a un impegno ancora più totale e definitivo. Il volontariato deve significare corresponsabilità piena, anche se parziale, alla vita della comunità, nel servizio al Vangelo o nella carità, perché la Chiesa è «la mia famiglia»: con l’animo del discepolo di Gesù, non del benefattore, ma anche con tutta la serietà della competenza e della professionalità.

La nostra Chiesa ne ha bisogno a tutti i livelli.

Il volontariato sta costruendo un’immagine nuova di Chiesa: può essere il nostro modo di scrivere gli Atti degli Apostoli e può riconsegnare la Chiesa nelle mani dei battezzati, con la varietà dei loro doni.

Quanto al denaro: esso non è demoniaco: è dono di Dio. Ma è dono di Dio a servizio di tutti i suoi figli. Anche quello che abbiamo nelle nostre tasche, guadagnato col nostro lavoro. La nostra stessa genialità è dono di Dio per l’utilità di tutti.

Denaro, salute, lavoro, genialità, tempo, sono doni di Dio, non solo per noi, ma per i fratelli: perché noi siamo una famiglia.

Certo dobbiamo usarli con «ordine», perché l’ordine appartiene alla verità di Dio e alla sua santità. Dire ordine è dire che la «prossimità» è un metro anche per l’uso del proprio danaro. I più prossimi sono i miei familiari, ecc. Però la «prossimitá» non può essere misurata solo sulla carne ed il sangue, ma anche col metro evangelico del bisogno (cf. Lc 10,29-37). Il Papa, nella «Sollicitudo rei socialis», ci ammonisce che talora, non solo il superfluo, ma anche ciò che noi riteniamo necessario, va condiviso con chi è in situazione di estremo bisogno.

3. Annunziare oggi il vangelo della carità

a) Impegno diocesano e parrocchiale

125. Giunto al termine della lettera pastorale nella quale io mi sono sforzato di delineare le linee portanti del lavoro diocesano, secondo quanto in questi undici anni siamo andati maturando camminando insieme, seppure faticosamente, io sento con forza il richiamo delle parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: «Aspirate ai carismi più grandi… io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1Cor 12,31).

Qual è questa via migliore, più grande di tutti i doni, le attività, i distacchi e gli eroismi? «Di tutto più grande è la carità» (cf. 1Cor 13).

La Visita Pastorale ha dimostrato che la nostra Chiesa, grazie anche alla presenza delle famiglie religiose, ha ottime strutture per una testimonianza della carità: tali sono la «Caritas», l’Ufficio Missioni, la San Vincenzo, le mense dei poveri, le istituzioni per gli anziani, i Centri per tossicodipendenti, ex carcerati, handicappati, le case di accoglienza per ragazze madri e minori in difficoltà ecc. ecc.

Le strutture però decisamente non bastano. La testimonianza della carità è indissociabilmente legata all’Eucaristia e perciò investe le persone, le famiglie e le singole comunità. I modi concreti possono essere molteplici, ma l’attenzione al fratello bisognoso non può mancare. Diversamente l’Eucaristia è in qualche modo incompiuta.

II livello parrocchiale non può non esserci, proprio per la centralità dell’Eucaristia nella vita parrocchiale. Ogni parrocchia deve avere la Caritas, collegata con la diocesi. I «poveri» appartengono alla Chiesa ed al Vescovo. Attraverso il Vescovo la diocesi si apre alla povertà del mondo. Al Vescovo spetta soccorrere i poveri con le mani di tutti, secondo equità. Anche per questo è stato ricostituito in Diocesi il Diaconato permanente.

Dire: «Da noi non ci sono poveri», significa essere cristianamente ciechi: i poveri la Chiesa li ha, tutti vicini, tutti sotto gli occhi, perché anche quelli lontani sono ormai resi vicini dai mezzi di comunicazione sociale, non meno di quelli che stanno poco distante da casa.

Soprattutto la Diocesi deve strutturarsi – è dovere grave – per vedere i poveri e far loro sentire la fraternità che ci lega in un’unica famiglia, dove il «dare» e il «ricevere» sono di tutti. La Diocesi deve poi trovare le mani con cui agire.

La generosità nella carità non ha mai impoverito una comunità, anzi l’ha sempre arricchita; soprattutto ha elevato il livello della solidarietà e della partecipazione, che sono il tesoro più grande di una comunità cristiana (cf. 2Cor 8,2.9; 9,6-15).

b) Impegno familiare

126. Ma anche il livello familiare va affrontato ormai con decisione, se vogliamo essere sinceri col Vangelo. Se siamo cristiani e vogliamo dire con verità il «Padre nostro», non possiamo non incominciare «a mettere un posto in più a tavola», prendendo qualcosa di ciò che abitualmente entra in famiglia, e portandolo al piedi dell’Apostolo, perché provveda agli anziani soli della comunità, ai senza fissa dimora, agli extra-comunitari, alle mense dei poveri, ai diversi centri che ho appena ricordato…, alle parrocchie che la Diocesi ha in Africa ed in Brasile, alle missioni.

Questa mentalità nuova per cui la Chiesa è nostra ed i bisognosi sono nostri fratelli secondo l’ordine del bisogno, in una distribuzione secondo equità a cui provvede il Vescovo, deve entrare nella preparazione, celebrazione e ringraziamento dell’Eucaristia, compresa come lo Spirito ci ha condotti a comprenderla.

Chi ha orecchi per intendere, intenda. È solo lo Spirito che può condurci a questo. Ma la nostra Chiesa è pronta per accoglierlo. È certo che non si può parlare di nuova evangelizzazione, se non ci si apre decisamente al discorso della carità. Non esiste discorso educativo senza apertura all’amore concreto e alla solidarietà. Non esiste missionarietà senza carità.

c) Impegno socio-politico

127. La carità non può disgiungersi dalla «razionalità»: la ragione è grande dono di Dio e la sapienza è azione dello Spirito in noi.

Se talora alcuni interventi caritativi rispondono solo all’esigenza di tamponare un’emergenza – ed è dovere sacrosanto provvedervi – la carità della Chiesa esige di divenire «sapienza» che fa progredire la storia verso forme più umane e solidali.

La carità allora diventa anche impegno sociale e politico, per spingere le istituzioni, sollecitare movimenti di opinione e legislativi che facciano crescere la società e lo Stato in umanità ed in solidarietà. Questo richiede preparazione e competenza (cfr. Nota pastorale CEI: La formazione all’impegno sociale e politico).

Le strade sono molte e diverse: l’obiettivo però è irrinunciabile. Se è vero che non è necessario che il cristiano vesta una divisa e abiti in una città fatta solo per lui, è irrinunciabile che sia «anima del mondo». Perché il mondo Dio l’ha fatto guardando a Gesù Cristo, e il cristiano ne ha ricevuto l’immagine in cuore. Cristo custodisce la vera immagine di uomo.

Così il cristiano impegnato nella nuova missionarietà e la comunità che, per concretizzarla, si impegna nella catechesi degli adulti, nella pastorale coniugale, familiare e giovanile, non operano in una specie di «spazio asettico», ma fanno come Gesù; in Lui Dio si immerge nella storia dell’uomo, rivela se stesso in gesti umani di guarigione, di solidarietà e di liberazione. Gesù fa del linguaggio umano l’autocomunicazione di sé, dell’amore umano il sacramento dell’amore divino per l’uomo, della crescita in età e del suo camminare con gli uomini, il segno del Regno ormai presente nel mondo. In Gesù uomo si rivela e si dona a noi l’assoluta singolarità di Dio.

La storia è così veramente historia salutis.

Qui riposa tutta la speranza per gli uomini. E noi, Chiesa di Venezia, ne siamo depositari. Lo Spirito del Signore ce ne renda protagonisti attivi e responsabili. 

 

128. In questa prospettiva di solidarietà cristiana oltre che di evangelizzazione va compreso anche l’impegno della Diocesi e di ciascuno nei confronti delle «missioni».

L’ufficio missionario diocesano promuove e coordina le iniziative diocesane, in particolare sostiene totalmente la nostra parrocchia in Africa, aiuta i due sacerdoti parroci in Brasile, tiene collegamenti con tutti i missionari e le missionarie diocesani sparsi nel mondo.

A loro volta molte parrocchie sostengono i loro missionari e finanziano particolari iniziative.

Dobbiamo però crescere ancora molto perché si crei una coscienza missionaria più motivata ed ecclesialmente matura, capace di sostenere una fraternità e corresponsabilità fra le nostre e le nuove chiese sorelle.  

 

PER LA RIFLESSIONE E LA VERIFICA

129.  Una Chiesa, anche per il solo fatto di esserci, è «grazia» per sé e per il territorio in cui è stata convocata: è quindi sempre anche responsabilità e compito.

La nostra mentalità ci porta a cogliere immediatamente e prevalentemente le valenze pastorali della Chiesa, insieme alle sue mancanze e alle sue insolvenze, senza troppo pensare che «la Chiesa» non sono gli altri, ma siamo noi.

La nostra mentalità va equilibrata con la certezza di fede che la Chiesa, nonostante tutte le pesantezze umane, è «piena di grazia»: perché è «il mistero di Cristo» (cf. LG c. 1), è luogo privilegiato in cui agisce lo Spirito che chiama a conversione e santifica, ha in sé doni di santificazione come i sacramenti, la Parola e il ministero…  

 

A. Sappiamo che la prima condizione di efficacia per la missione della Chiesa è l’autenticità evangelica; personale e comunitaria (santità), vale a dire: la liberazione dal peccato e l’imitazione del Signore Gesù, perché «Cristo abiti mediante la fede nei nostri cuori» (Ef 3,17).

1. la comunità parrocchiale, nella sua strutturazione e nei suoi programmi, è prioritariamente preoccupata della crescita delle persone nella loro fedeltà al Signore, realizzando il progetto che Dio ha su di loro?

2. passando in rassegna i modi con cui la Parrocchia offre ai credenti i doni del Giorno del Signore, dell’Anno Liturgico, del Triduo Pasquale, dei Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana e della Penitenza… si può dire che questi momenti sono pensati e offerti in modo da esser «pane» di santità per coloro che di essa sono «affamati» e non hanno altro che i doni della Parrocchia?

3. Che spazio hanno i laici nelle responsabilità della parrocchia? Come viene loro offerta la possibilità di dare un parere competente nelle decisioni pastorali? Come sono coinvolti nella pastorale della Parola di Dio, in quella liturgica e in quella dell’animazione cristiana delle realtà temporali? Che strumenti si prevedono in parrocchia e in vicariato per la formazione permanente del laicato? Vengono sfruttate le occasioni formative (scuole, corsi di esercizi, convegni, ecc.) offerti dagli uffici pastorali diocesani?

4. È presente in parrocchia l’Azione Cattolica? La si promuove secondo lo spirito conciliare di «singolare forma di ministerialità laicale»? Che incidenza reale ha nella vita della parrocchia? Quali movimenti o associazioni ecclesiali sono presenti in parrocchia? Sono chiare le loro finalità? Come collaborano con le altre strutture pastorali della parrocchia?

5. Nelle nostre comunità è effettivamente riconosciuta la pari dignità della donna e dell’uomo? Come si può camminare ulteriormente su questa strada?  

 

B. Dove si celebra l’Eucaristia deve dilatarsi l’amore: non si può infatti partecipare al pane celeste senza condividere quello terreno.

1. Come i cristiani prendono parte, secondo il dono di ciascuno, alla vita del territorio? Come assumono la loro parte di responsabilità nelle strutture di partecipazione? Come la comunità cristiana promuove tale partecipazione e, in particolare, come forma alla doverosa competenza e al rispetto delle autonomie?

2. Come la comunità cristiana pone evangelicamente «nel mezzo» i piccoli, i poveri di cui parla Gesù, nell’impegno di eliminare ogni emarginazione nei confronti di coloro che sono affetti da handicaps, o sono anziani, ecc.?

3. Come la comunità educa a procurare ciò che è dovuto per giustizia a chi è più debole? Con quali strutture o strumenti? La Caritas esiste in parrocchia? Come si può rendere sempre più efficace e presente?

4. In quale modo le nostre famiglie danno corpo alla verità che «ogni uomo è fratello» e che «non riconoscerà Gesù che ci viene incontro colui che non lo riconoscerà nel fratello che bussa alla porta»?

5. Come ci facciamo carico delle opere di carità della nostra Chiesa locale?

6. C’è impegno a promuovere il volontariato, per aiutare chi ha bisogno (soprattutto gli anziani soli che sono in considerevole aumento), per eliminare per quanto è possibile la loro solitudine e la loro emarginazione? Come doniamo alla Chiesa il nostro tempo, le nostre competenze, la nostra intelligenza?

7. Ci sono casi di droga nella zona? Come la comunità si sforza di «assumerli»? Comunque si sforza di capire quelli ed altri casi di devianza giovanile o si accontenta di criminalizzarli?

8. Come la comunità esprime la sua presa di coscienza e la sua partecipazione alle vicende sociali del paese e del territorio? Entrano questi fatti nella vita eucaristica, almeno come memoria davanti al Signore, e come impegno di condivisione, quando fosse necessario? Come la comunità prende parte alle grandi calamità che talora colpiscono il paese o gli altri paesi? Come partecipa alla colletta «Un pane per amor di Dio» e come aiuta i popoli sottosviluppati? Come si educa ad una effettiva mentalità missionaria?

9. Con quali mezzi la comunità parrocchiale cerca di essere «sintonizzata» con la cultura della zona per non proporre azioni o discorsi «fuori fase»? Si sfruttano gli strumenti di comunicazione sociale (il settimanale diocesano, Radio Carpini, i fogli parrocchiali, ecc.) per fornire le notizie o gli strumenti di lettura per una corretta informazione degli avvenimenti ecclesiali?

Conclusione 

130. Fratelli e sorelle carissimi, consegnandovi questa mia lettera, io mi congedo da voi contemplando la «piena di grazia», Maria: Lei è la Madre di Dio, ci ha donato Gesù. Contemplandola nelle bellissime immagini della nostra Cattedrale, io vedo la profezia della grazia a cui siamo chiamati.

E Lei, Maria, mi rinvia alla nostra Chiesa: anch’essa umile e piccola serva del Signore, certo bisognosa di conversione e di purificazione, però sempre «piena di grazia», perché da Dio amata, plasmata ad immagine di Cristo, vivente in Lui e suo strumento per donare la vita, avvolta d’una grazia che «eccede» tutte le nostre miserie, costituita depositaria della Parola, dei sacramenti, luogo privilegiato dell’azione dello Spirito, adorna di doni e arricchita di ministeri. Infine «mandata» in mezzo alla nostra gente a fare le stesse cose che faceva il Signore (cf. Gv 14,12; Lc 16,14-20).

Contemplando con fede sicura la nostra Chiesa – «piena di grazia» perché Dio vuole fare grazia al nostro territorio – io sento che qui c’è un grande dono di speranza per tutti.

«lo sarò con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20): la nostra umile Chiesa ne è il segno. 

 

131. Un giorno ormai lontano – era la Pentecoste del 1970 – nel momento culminante della mia ordinazione episcopale, sul mio capo e sulle mie spalle venne posto il Vangelo aperto: in quel momento lo fui costituito nella successione apostolica per portare a tutti la Parola che salva.

Col passare degli anni quel Vangelo dalle spalle è sceso nel cuore[5] ed è diventato un fuoco che brucia: «Ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle io devo condurre, perché si faccia un solo ovile e un solo pastore» (Gv 10,16).

Come vorrei che tutta la nostra Chiesa fosse invasa da questo fuoco: per la speranza del nostri fratelli che non credono e della nostra storia. Il fuoco dello Spirito genera la giovinezza della Chiesa.

Depongo questa mia riflessione ai piedi dell’Immacolata, chiedendole di accompagnarla con la sua intercessione.

 

  • note:

    [1] Emendato il vocabolo «priorità» in RDPV, come da scheda «errata corrige».

    [2] Emendato il vocabolo «mirino» in RDPV, come da scheda «errata corrige».

    [3] Emendata la frase «non sempre offre dei beni, senza le quali » in RDPV, come da scheda «errata corrige».

    [4] Emendata la frase «di domenica» in RDPV, come da scheda «errata corrige».

    [5] Emendata la frase «sul cuore» in RDPV, come da scheda «errata corrige».

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Stemma cardinale Marco Cè

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